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I disordini nel Kashmir accendono le tensioni tra India e Pakistan

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CONFINI CONTESI

I disordini nel Kashmir accendono le tensioni tra India e Pakistan

Giovani musulmani manifestano per l’indipendenza del Kashmir a Srinagar
Giovani musulmani manifestano per l’indipendenza del Kashmir a Srinagar

Uccisioni “mirate”, manifestazioni di piazza, attentati contro caserme indiane, seguite da ritorsioni in territorio pakistano. Le tensioni mai sopite tra India e Pakistan riemergono lungo la frontiera che divide le due potenze nucleari in Kashmir, la regione a maggioranza musulmana contesa sin dalla “partizione” del 1947 e per la quale sono già state combattute due guerre.

A riportare la situazione ai livelli di guardia, è stata l’uccisione, da parte delle forze di sicurezza indiane, di un carismatico militante musulmano di 22 anni, Burhan Wani, l’8 luglio di quest’anno. Leader della formazione indipendentista Hizbul Mujahideen, già popolarissimo tra i giovani connazionali grazie alla sua attività sui social network, Wani è immediatamente diventato il martire e simbolo della protesta. Tra manifestazioni, cortei, lanci di pietre contro le forze di sicurezza, la reazione della popolazione è stata immediata e ha preso i connotati di una intifada, per nulla sopita dalla dura reazione del Governo indiano e dal coprifuoco imposto ormai da mesi. Più di 80 manifestanti e alcuni poliziotti sono rimasti uccisi negli incidenti che si ripetono su base quasi giornaliera. Migliaia di persone sono rimaste ferite e più di 8mila sono state arrestate.

I disordini nella valle del Kashmir non sono una novità. Il malcontento della popolazione a maggioranza musulmana ha una storia lunga quanto la sua annessione da parte dell’India. Quando New Delhi e Islamabad dichiararono l’indipendenza dall’Impero britannico, nel 1947, il Kashmir era un principato a maggioranza musulmana schiacciato tra i due Paesi nemici e retto da un maharaja hindu, Hari Singh. Questi avrebbe dovuto scegliere a quale dei due Stati essere annesso, ma la sua indecisione finì per scatenare una guerra che portò alla spartizione del principato e che mise le basi per una conflittualità mai più sanata. Quella che alza la voce oggi è così la quinta generazione di kashmiri a protestare contro quella che sentono come una occupazione illegittima. Ormai da 27 anni, dalla rivolta armata sostenuta dal Pakistan nel 1989, la popolazione vive sotto un regime di sicurezza speciale che dà ampi poteri all’esercito. Da allora, circa 68mila persone sono state uccise in un conflitto latente, che nel 2002 ha portato India e Pakistan sull’orlo di una nuova guerra aperta e che nel 2010 ha visto incidenti ancora più gravi di quelli in corso oggi, con circa 100 morti. La tensione era salita alle stelle anche dopo gli attentati di Mumbai del 2008, organizzati, secondo New Delhi, da islamisti pakistani e kashmiri (in particolare dal gruppo Lashkar-e-Toiba). Dal 2014, il reclutamento di giovani da parte di movimenti locali armati non ha fatto che aumentare.

La valle del Kashmir fa parte dello Stato Jammu e Kashmir (4,5 milioni di abitanti), nel quale Jammu è a maggioranza induista (dello Stato fa parte anche, con notevole autonomia, il distretto di Ladakh). Al Governo c’è una coalizione formata dal Bjp, il partito del primo ministro indiano Narendra Mondi, e dal locale Partito democratico del popolo. Nella valle del Kashmir, dove ormai sono rimasti 3-5mila indiani dai 300mila che vi abitavano, il Bjp è praticamente inesistente. La coalizione, però, sembrava avere potenzialità positive, perché poteva aprire la via del dialogo. Il Bjp, poi, anche nel Kashmir, ha orientato la propria linea di azione politica sulla promozione dello sviluppo economico, nella convinzione che questo possa risolvere anche le tensioni sociali.

Un soldato Indiano pattuglia le strade di Srinagar in Kashmir

Le cose, tuttavia, sono andate diversamente. I kashmiri che guardano con sospetto al Governo Modi, temendo iniziative ostili ai musulmani (che in verità non ci sono state), si sono sentiti traditi dalla scelta dei loro politici, di allearsi proprio con i nazionalisti hindu. Il Partito democratico del popolo ha così perso il consenso che gli avrebbe potuto permettere di tradurre in senso politico il malcontento. Dall’altro lato, la ricetta incentrata sullo sviluppo, che il Bjp ha applicato negli altri Stati indiani, sembra non essere sufficiente in Kashmir.

In questo contesto, gli attentati effettuati nella regione sotto amministrazione indiana da gruppi terroristici che hanno base in Pakistan hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco. L’attacco di fine settembre contro la base militare di Uri, con 18 soldati uccisi, ha segnato una svolta per New Delhi, che da allora ha fortemente inasprito la retorica e intensificato gli sforzi per isolare diplomaticamente Islamabad. I toni risentono anche del clima di perenne campagna elettorale in cui la politica indiana è immersa a causa dei continui appuntamenti elettorali locali.

Anche se secondo molte fonti, i movimenti di protesta in Kashmir avrebbero matrice interna e non sarebbero “pilotati” dal Pakistan, New Delhi vede nella sua eterna nemesi i registi e i finanziatori dei disordini. Di tutti i dossier aperti tra India e Pakistan, il Kashmir è il più delicato. Islamabad rivendica la propria sovranità su un territorio a maggioranza musulmana, New Delhi, che sente di aver già perso parte del proprio territorio al momento dell’indipendenza, non intende rinunciare ad altri pezzi, nemmeno concedendo autonomia ai kashmiri. Con l’arrivo dell’inverno sulle vette dell’Himalaya gli scontri si affievoliranno, ma sotto la neve le tensioni resteranno accese, pronte a esplodere di nuovo.

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