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Se un piccolo parlamento tiene in ostaggio l’Unione

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Il «no» al Ceta porta la Ue su una strada senza ritorno

Se un piccolo parlamento tiene in ostaggio l’Unione

(Afp)
(Afp)

Non è solo l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada che rischia di saltare per il voto contrario del parlamento della Vallonia della scorsa settimana. È in gioco la natura stessa dell’Unione europea che subirebbe una umiliazione profonda se dovesse passare l’idea che basta il parlamentino di una regione belga, più piccola della Puglia e con meno abitanti, per bloccare un accordo di cui si parla dal 2009 e che, al netto di Brexit, riguarda circa 500 milioni di persone.

Non che altre vicende recenti non abbiano messo a nudo le difficoltà generali in cui si dibatte il progetto europeo, ma il fallimento del Ceta, Comprehensive economic and trade agreement, può segnare una svolta su una strada senza ritorno per la Ue.

Alla Commissione resta un’arma da utilizzare contro il Belgio, se non ratificherà l’accordo Ceta: la procedura di infrazione in base all’articolo 4 del trattato sull’Unione europea che al paragrafo 3 stabilisce il principio di leale cooperazione, in base al quale «l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati». Inoltre, afferma il trattato, «gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione». Gli Stati membri «facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione».

Ce n’è abbastanza per aprire una procedura di infrazione contro il Belgio, come è già accaduto in passato. E i precedenti sono a favore della Commissione. Resta da vedere se Jean-Claude Juncker, sempre più eterodiretto da Berlino tramite il capo di gabinetto, Martin Selmayr, avrà il coraggio di andare allo scontro che potrebbe essere non solo con il Belgio ma anche con la Germania, dove il via libera del Bundestag all’accordo è stato subordinato dalla Corte costituzionale ad una serie di condizioni di portata ancora sconosciuta.

L’esito che rischia di profilarsi sul Ceta era ampiamente prevedibile, dopo che a metà maggio la Commissione Ue - con una vera e propria piroetta - aveva deciso che l’accordo con il Canada sarebbe stato considerato accordo “misto” e non “multilaterale”, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere ratificato da una trentina di parlamenti nazionali e regionali. Ancora più grave del voto della Vallonia è, per certi versi, la decisione della Corte costituzionale tedesca che la scorsa settimana ha dato l’ok alla ratifica dell’accordo da parte della Germania, ma ha posto una serie di condizioni il cui peso si conoscerà nel dettaglio solo lunedì, con la pubblicazione della decisione. I negoziatori europei temono che queste condizioni possano creare nuovi ostacoli. Ciò che è già ora è evidente è che il fallimento del Ceta sarebbe una umiliazione per l’Unione europea, la cui politica commerciale «entrerebbe in un coma profondo». In attesa di ratifica ci sono sette altri accordi commerciali che riguardano 31 Paesi e 20 negoziati in corso con altri 50 Paesi. Tra questi il Ttip con gli Stati Uniti, più quelli con il Giappone e il Messico. La credibilità dell’Unione in qualsiasi negoziato sarebbe duramente messa in discussione.

Ma il danno reputazionale sarebbe enorme anche agli occhi dei cittadini europei. «Nessuno ci obbligava a negoziare un trattato con il Canada. Dopo 7 anni di trattative non si può buttare all’aria tutto, inseguendo le mode del momento. Così salta l’Unione, si distrugge il mercato interno che è la fonte della nostra ricchezza. Si trasforma definitivamente l’Unione europea in una baracca intergovernativa che non avrebbe più alcun senso».

È il momento che la Commissione Juncker prenda coraggio, si affranchi - per quanto è possibile - dalla tutela tedesca e vada a fondo in questa vicenda, applicando i trattati e imponendo al governo belga la ratifica dell’accordo con il Canada.

I precedenti ci sono e riguardano lo stesso Belgio ma anche la Germania. Quest’ultima, in particolare, ha subito una procedura di infrazione per la mancata ratifica di un accordo sul traffico aereo con gli Stati Uniti tra il 2010 e il 2011. A riprova di quanto fosse forte la posizione della Commissione, la Germania decise di non andare davanti alla Corte di giustizia per opporsi alla procedura, ma preferì adeguarsi alla richiesta di Bruxelles.

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