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A Calais primi sgomberi della Giungla

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Europa

A Calais primi sgomberi della Giungla

  • –Marco Moussanet

parigi

Dopo l’ennesima nottata di tafferugli, ieri mattina lo sgombero della “giungla” di Calais - la bidonville più grande d’Europa, a due passi dal porto della città francese e dal terminal degli Eurostar diretti in Gran Bretagna - è finalmente iniziato.

Alle sei, ancora in piena notte, i primi migranti (soprattutto sudanesi, etiopi ed eritrei) hanno cominciato a mettersi in fila con le loro poche cose davanti all'enorme hangar a circa 300 metri dal campo, trasformato in quartier generale dell'operazione e che ha aperto le porte alle otto, per essere trasferiti nei 450 Centri di accoglienza e di orientamento (Cao) distribuiti in tutto il Paese. Un'operazione di dimensioni assolutamente inedite, visto che nella baraccopoli c'è un numero di rifugiati che oscilla, a seconda delle stime, tra 6.500 e 8.700. Una piccola città.

E inedita, anche dal punto di vista logistico, è quindi l'organizzazione che è stata messa in piedi per gestire “la grande evacuazione”. Con centinaia di addetti dell'Ofii (l'Ufficio francese dell'immigrazione e dell'integrazione), dell'Opfra (l'Ufficio dei rifugiati) e di volontari delle varie Ong che da anni si occupano di aiutare i disperati che si sono via via radunati in questa terra di nessuno. Oltre ai più di 3mila agenti ai quali è affidata la sicurezza dello sgombero, per far fronte alle possibili reazioni, anche violente, da parte dei profughi più restii a rimanere in Francia e sostenuti dai militanti di “No Border”. Senza trascurare le capacità di mobilitazione delle bande di criminali che in questi anni si sono arricchiti sulla pelle dei poveracci di Calais.

Anche se nel primo giorno tutto si è svolto pacificamente, con calma, senza particolari problemi. Problemi che quasi certamente nasceranno invece a partire da domani, quando inizieranno le demolizioni delle baracche e delle tende. E la polizia dovrà provvedere con la forza all'espulsione di chi non vuole saperne di lasciare Calais e continua a inseguire il sogno di poter attraversare la Manica (le associazioni stimano il numero dei “resistenti“ in circa 1.500/2mila, soprattutto afghani).

I migranti hanno dovuto dividersi in quattro code diverse: gli uomini soli, i minorenni non accompagnati, le famiglie e le persone cosiddette “vulnerabili”, anziani, malati e donne incinte. I minorenni (il cui numero è stimato in poco meno di 1.300) vengono trasferiti nei container del Centro d'accoglienza provvisorio (Cap) appositamente realizzato per accoglierli. Dove si fermeranno per almeno due settimane, in modo da capire quanti di loro hanno un parente in Gran Bretagna e possono quindi raggiungere il Paese in cui tutti i migranti di Calais vorrebbero andare. In base agli ultimi accordi tra le autorità francesi e inglesi, Londra ha infatti iniziato ad aprire la frontiera a questi ragazzi. Oltre 300 sono già partiti e altri 500 dovrebbero seguirli nei prossimi giorni. Quelli che non hanno questa possibilità verranno presi in carico dalle strutture di Aiuto sociale all'infanzia (Ase) e pian piano distribuiti in appositi centri.

A tutti gli altri migranti sono state proposte due possibili destinazioni. E ogni volta che per un luogo di destinazione è stato raggiunto il numero previsto, hanno potuto salire sugli autobus diretti al Cao identificato. La previsione è che il grosso dei trasferimenti avvenga nei primi tre giorni, con l'utilizzo di circa 150 autobus. Ieri sera erano già partiti circa 1.900 profughi (mentre 400 minorenni sono stati trasferiti nel Cap).

Una volta arrivati al Cao, verranno sottoposti a una visita sanitaria e sistemati nelle strutture di accoglienza. Tutti presenteranno probabilmente una richiesta d'asilo, il cui esame dura mediamente 14 mesi. Quelli che vedranno la loro domanda respinta saranno rimandati nei Paesi di origine. Gli altri verranno aiutati a trovare un lavoro e una casa.

Annunciata ufficialmente un mese fa dal presidente François Hollande (che ha parlato di «uno smantellamento totale e definitivo») e presentata dal Governo come un'iniziativa «umanitaria» - per cercare di chiudere l'osceno capitolo di una baraccopoli nel cuore di un Paese civile, moderno e sviluppato, dove migliaia di persone hanno invece vissuto a volte per mesi in condizioni vergognose, umilianti e pericolose – l'evacuazione ha ovviamente scatenato numerose polemiche. Soprattutto da parte della destra e dell'estrema destra, che hanno denunciato «la creazione di centinaia di piccole giungle» e che alimentano le paure della popolazione, sfruttandole strumentalmente a pochi mesi dalle elezioni presidenziali.

Infine, una volta chiusa questa fase (che dovrebbe durare una settimana), bisognerà evitare che si formino (o riformino) altre baraccopoli. Come puntualmente accade, soprattutto lungo la costa Nord-Est del Paese, da ormai vent'anni.

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