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Dossier La «nebulosa» estremista che vota Trump

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

La «nebulosa» estremista che vota Trump

Donald Trump (Reuters)
Donald Trump (Reuters)

«Siamo al momento decisivo. Me lo sento, se non eleggiamo Trump, se non ci facciamo ascoltare, ci sarà un collasso finanziario, una guerra mondiale, un terzo della popolazione verrà uccisa». La battaglia tra Donald Trump – l’allarme apocalittico è di un suo sostenitore – e Hillary Clinton è porta a porta e senza risparmio di colpi. In gioco la cattura degli elettori nelle regioni incerte. Già 22 milioni hanno scelto, un quarto del totale in Stati cruciali quali Colorado, Florida e Nevada. Un corpo a corpo che mobilita gli eserciti più fedeli ai candidati. E se l’armata di Hillary ha già dato prova di sé, quella di Trump ha contorni inediti, labili e controversi, supplendo alla cautela dell’apparato conservatore con gli entusiasmi della nuova destra e il disagio o la rabbia di ceti popolari bianchi. Sarà dalla tenuta e ampliamento o meno di questa tumultuosa coalizione, rinvigorita oggi dagli scandali di Hillary, che dipenderà qualunque riscossa di Trump ai seggi.

Lo spettro dei disastri in caso di sconfitta di Trump è stato evocato di recente da Alex Jones, texano 42enne, gran teorico di complotti e tribuno di una nebulosa estremista definita Alt Right, la destra alternativa e radicale americana. Una nebulosa che, per scelta o per caso, ha trovato voce nella campagna di Trump. Quello stesso spettro della terza guerra mondiale è stato citato dal magnate immobiliare se venisse eletta Clinton. Al movimento possono essere ascritti altre crociate diffuse tra i sostenitori di Trump: dai “birthers”, che sospettano Barack Obama non sia americano, all’intransigenza pro-armi, fino a chi crede che il massacro nella scuola di Newtown sia stato una messa in scena dei nemici del Secondo emendamento.

È un crogiuolo di tematiche che ha aiutato Trump a rivolgersi a quella che ha identificato come la sua vera base elettorale, la “working class” bianca, i ceti medi e bassi, spesso emarginati dalla politica oltre che dall’economia e da decenni in fuga ormai dai democratici.

Negli anni 60 era il partito di Hillary a ottenere il 55% dei loro consensi, poi crollati al 35%, risaliti al 41% con Bill Clinton e nuovamente scesi al 36% con Obama nel 2012. L’esito di sommovimenti sociali e politici: i democratici che sposano diritti delle minoranze e coalizioni multiculturali; i repubblicani che si fanno difensori di valori tradizionali; l’erosione del sindacato; e ciò che leader della sinistra come Robert Reich e Thomas Frank chiamano il “tradimento” dell’adesione a dottrine di liberalizzazione combinata con l’incapacità di parlarne la lingua. Trump si è gettato in questo vuoto, anche se è un paladino discutibile. Tra i suoi limiti c’è proprio l’abbraccio soffocante della destra radicale. Trump, fin dall’inizio, ha faticato a sconfessare simili compagni di strada, compreso David Duke, l’ex leader del Ku Klux Klan. Atteggiamenti che minacciano di alienare almeno una parte di questo stesso elettorato popolare. In particolare le donne stanno prendendo le distanze: Trump domina Clinton di ben 43 punti tra gli uomini bianchi senza laurea, ma nell’identico elettorato femminile, il 55% di questi potenziali votanti, Hillary corre quasi alla pari.

La Alt Right è fatta di anonime “sturmtruppen” e chat digitali come anche di leader di gruppi neonazisti, think tank anti-semiti e filosofi della discriminazione scientifica. Il Breitbert News Network non ne è immune: l’ex presidente Steve Bannon, oggi chief executive della campagna di Trump, aveva definito la sua rete come la vera “piattaforma” dell’Alt Right. E il suo technology editor Milo Yiannopoulos – 33enne britannico, gay dichiarato e gusto per lo shock – ha composto quest’anno l’articolo che ha “sdoganato” la destra alternativa, ispirata più dalla sfida all’establishment e alla “correttezza politica” che a ideologie. Ma i critici segnalano fenomeni ben più oscuri. Gli attacchi antisemiti che invocano il nome di Trump sono in brusco aumento: 800 giornalisti sono stati oggetto di persecuzioni online, con minacce o il volto giustapposto a vittime dei campi di concentramento.

Trump non ha creato questa miscela che minaccia sconquassi nelle urne. È stata piuttosto la crisi del partito repubblicano a dare spazio a Trump e alla Alt Right nel nome di un nuovo populismo di destra. Da sempre il populismo americano ha mostrato anime progressiste e oscurantiste alle quali attingere. Nel primo caso, a fine ‘800, il People’s Party dei piccoli agricoltori, seguito dal sindacato della confederazione Afl durante il New Deal. Una tradizione che spesso ha fatto da filtro a spinte più radicali di rivolta dal basso verso l’alto, con apici recenti nella candidatura del leader dei diritti civili Jesse Jackson nel 1988 e quest’anno del “socialdemocratico” Bernie Sanders. Diverso è il populismo conservatore, illustrato da John Judis nella Populist Explosion, che all’estremo idealizza un popolo bianco usurpato da una malsana alleanza tra elite e masse tacciate di inferiorità, dagli immigrati a minoranze etniche e religiose.

Si insedia nel Sud con il governatore democratico dell’Alabama George Wallace (“segregazione oggi, domani e sempre”) e approda ai repubblicani che conquistano la regione con la regia della “strategia meridionale” di Richard Nixon. I progenitori più diretti di Trump sono leader repubblicani degli anni Novanta quali Pat Buchanan, il primo a proporre a un muro contro immigrati. Un decennio più tardi esplodono i Tea Party, commistione di valori religiosi e sociali ultra-conservatori, esprimendo la candidata alla vicepresidenza Sarah Palin.

Trump sta scrivendo un nuovo capitolo di questa storia appoggiandosi – anche – agli arsenali di una Alt Right che oggi può vantare persino un’ala di sicurezza nazionale, incarnata dall’ex generale e direttore dei servizi segreti delle Forze Armate Michael Flynn. Una destra che fa ampio uso dei nuovi strumenti di social media, inclusi siti quali Reddit e Twitter. Ma i cui ideali sono spesso antichi. Ci sono gli “scienziati”, che riconducono al Dna le differenze razziali e celebrano la superiorità dell’identità bianca. I Neoreazionari e Archeofuturisti, ispirati dall’ordine del mondo che fu. Nonché nazionalisti bianchi e seguaci della “manosphere”, che idealizza il Maschio Alfa.

Il loro punto di raccolta si trova in Jared Taylor e Richard Spencer, fondatori del National Policy Institute. Spencer organizza conferenze a Washington, l’ultima in marzo dedicata alla nuova Identity Politics della destra. Ma giacca e cravatta non possono esorcizzare le identità più inquietanti, l’antisemitismo dell’ex professore universitario Kevin McDonald o il neonazismo del Daily Stormer di Andrew Anglin. Per non citare i cosiddetti 1488ers, 14 come le parole dello slogan «Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi»; 88 come due volte l’ottava lettera dell’alfabeto – H – per Heil Hitler.

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