I suoi contabili e avvocati l’avevano avvertito che il fisco non l’avrebbe fatta passare liscia. Ricevere crediti e sconti per aver perso soldi, tanti soldi, di altri era discutibile eticamente e soprattutto di dubbia regolarità. Eppure questo ha fatto Donald Trump, aggiungendo oggi un nuovo, potenziale scandalo al susseguirsi di shock nella campagna elettorale americana.
Le rivelazioni, frutto di un’inchiesta del New York Times, mettono in dubbio l’asserzione del candidato repubblicano di aver semplicemente usato comuni e legittime scappatoie per non pagare imposte per anni. In realtà avrebbe invece nascosto centinaia di milioni di dollari di reddito. Una manovra ultra-aggressiva eseguita nel periodo nero del magnate, quando negli anni Novanta il suo impero immobiliare e di casinò era sull’orlo della bancarotta.
Trump, si sapeva, ha dichiarato perdite per 916 milioni che gli sono servite per evitare altrettante tasse federali durante forse 18 anni. Quel che non era finora noto è che il magnate aveva contemporaneamente ottenuto dai creditori, banche e investitori, la cancellazione di debiti per svariate centinaia di milioni, un maxi-sconto che sarebbe stato tenuto a riportare - e non lo ha fatto - come reddito. Il perdono avrebbe cancellato le deduzioni legate alle perdite.
La legislazione di allora, ammettono gli esperti interpellati dal Times, era ambigua e sarebbe stata chiarita solo successivamente per rendere illegali simili manovre. Trump, stando alla corrispondenza venuta ora alla luce, avrebeb tuttavia più che interpretato liberamente, coscientemente stravolto le norme. Le accuse lo raggiungono in un momento cruciale: sta tentando un sorpasso in extremis sulla favorita Hillary Clinton, approfittando del nuovo scivolone della rivale democratica per la Casa Bianca su un altro scandalo, quello delle e-mail. L’Fbi sta passando al setaccio con speciali software ben 650mila nuovi messaggi di posta elettronica rinvenuti in un computer condiviso dalla collaboratrice di Clinton, Huma Abedin, con il marito, l’ex deputato Anthony Weiner travolto da un caso di “sexting”. Abbastanza da tenere alto lo spettro di irregolarità se non di reati nella gestione di corrispondenza segreta o comunque delicata, che risale a quando era Segretario di Stato, alla vigilia del voto dell’8 novembre.
Un sondaggio quotidiano di Abc-Washington Post ha visto ieri Trump avanti di un punto su Clinton, 46% a 45%, per la prima volta da maggio, nonostante la media delle poll più recenti dia ancora a Clinton in vantaggio di quattro punti. Il nuovo caso delle e-mail l’ha messa sulla difensiva, erodendo l’entusiasmo dei suoi sostenitori e mettendo in dubbio speranze democratiche di conquistare Stati incerti quali Ohio e Iowa come maggioranze al Congresso. Segno della mappa elettorale tuttora aperta, nelle ultime ore Trump si è spinto in Wisconsin, Clinton in Florida.
Le polemiche hanno anche sollevato l’incubo, qualora Hillary vincesse, di anni di inchieste parlamentari sul suo operato, una riedizione delle battaglie legali che azzopparono la presidenza del marito Bill Clinton. L’intervento dell’Fbi ha reso di sicuro incandescente il clima all’interno delle istituzioni americane, con il direttore James Comey accusato di imitare il più noto e discusso leader dell’agenzia, Edgar J. Hoover, l’ultimo a essere attaccato per l’uso esplicitamente politico degli agenti (contro il movimento dei diritti civili e prima ancora contro il democratico Harry Truman). Le differenze sono profonde: Hoover manovrava dietro le quinte mentre Comey, un repubblicano scelto da Barack Obama, sembra semmai aver peccato di irresponsabilità, di violazioni di norme interne che proibiscono il rilascio di materiali controversi a meno di 60 giorni dalle elezioni. Le dure polemiche testimoniano però il clima avvelenato nel quale l’America andrà alle urne.
© Riproduzione riservata