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La battaglia finale negli Stati indecisi

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USA

La battaglia finale negli Stati indecisi

  • –Mario Platero

NEW YORK

Siamo all’ultimo miglio, all’ultima corsa frenetica, a zig zag fra gli Stati chiave dei candidati per la Casa Bianca 2016, gli Stati che decideranno queste elezioni storiche. Per la prima volta infatti, martedì prossimo, gli americani dovranno scegliere tra due modelli molto diversi di fare politica. Il primo ripercorre le tradizioni di sempre, con l’alternanza fra due partiti in guerra ideologica, ma uniti dalla condivisione di un modello che si identifica in valori di “apertura” nel senso più lato del termine. Il secondo consentirà l’arrivo a Washington, alla Casa Bianca di un populismo che poggia sull’esclusione, sul razzismo, sulla chiusura. Correnti di pensiero ideologiche queste, che sono sempre esistite in America, nel sud soprattutto, da George Wallace (democratico!) a David Duke, da Pat Buchanan al Tea Party, ma che sono sempre rimaste ai margini del grande centro politico americano. Ma non avevamo ancora mai visto o immaginato di vedere il giorno in cui un esponente di questa ala della destra estrema potesse diventare un candidato per la Casa Bianca e addirittura ottenere consensi talmente elevati da portarlo alla soglia della presidenza.

Per questo nell’ultimo miglio, nell’ultimo fine settimana prima delle elezioni la battaglia si è fatta decisiva, di fuoco. Si mobilita il voto chiave anticipato e hanno già votato 34 milioni di persone. Si mobilitano neri e ispanici. E si applicano stili diversi. Ai quartieri generali di Hillary a Brooklyn abbiamo visto strateghi stressati a coordinare eventi di gruppo. In quelli di Donald Trump, alla Trump Tower, c’è meno attivismo perché la campagna è meno strutturata: tutto ruota in tipica tradizione populista attorno al “leader”.

In quest’ultima corsa frenetica Clinton e Donald Trump non si incontrano mai, ma si incrociano a distanza ravvicinata, ora in Pennsylvania (46,5% per Hillary 44% per Trump) ora in Florida (47% per Trump 46% per Hillary) o in Ohio( 46% Trump 43% Hillary) o Carolina del Nord (46,8% Trump 46% Hillary) o in Michigan (45% Hillary 41% Trump). Sono questi gli Stati davvero chiave. Hillary resta in leggero vantaggio su base nazionale, e le basterà vincere in Pennsylvania e Michigan dove è già in vantaggio per assicurarsi le elezioni. Trump ha deciso di fare una puntata anche in Colorado dove Hillary è in vantaggio (43% al 40%) e in Nevada dove la distanza è minima, anzi, dove il Donald è riuscito a fare il sorpasso e a trovarsi in vantaggio con il 50,5% delle preferenze nei sondaggi contro il 49,5% di Hillary. Ma il Nevada porta soltanto sei voti elettorali dei 270 necessari per vincere queste elezioni. Il voto si gioca complessivamente su 538 voti elettorali distributi fra i 50 Stati. Ogni Stato voterà per l’uno per l’altro e il vincitore si vedrà assegnati i voti elettorali di quello Stato. E il grosso del paese è già diviso, rosso per i repubblicani, blu per i democratici.

È sulla base di questa divisione che si sono formati i grandi schieramenti politici del paese. La spaccatura è evidente, chiarissima, una spaccatura fra Nord e Sud, fra le grandi spianante e le grandi montagne della “wilderness” americana e le gigantesche aree metropolitane, fra il Midwest e le due coste, anche se a oriente il sud est è repubblicano soprattutto in South Carolina e Georgia.

Nei loro passaggi seguono strategie molto diverse. Hillary si muove in gruppo, ha un vasto novero di sostenitori: politici, cantanti, attori, che appaiono con lei in comizio, in campagna. Trump è più solitario, tipico del leader populista, tutto ruota attorno a lui stesso, ieri ha avuto al suo fianco Sarah Palin. In questi comizi, soprattutto quelli di Trump, ascoltiamo poche tematiche e sfide per il futuro e molti insulti, calunnie. Trump ad esempio continua a dire nei comizi che Hillary potrebbe essere incriminata dall’Fbi per i suoi rapporti con la Fondazione del marito. Una notizia priva di alcun fondamento, diffusa dalla rete Fox news ma poi smentita dallo stesso Fbi e dalla Fox. Eppure anche ieri Trump con grande senso drammatico continuava a ripetere nei comizi che Hillary poteva essere incriminata. Hillary continua a puntare sulla impreparazione di Trump, lo accusa di essere un misogino. Ma non ha usato rivelazioni recenti, ad esempio che Melania Trump la moglie del candidato repubblicano, abbia lavorato in nero negli anni Novanta, senza documenti per l’immigrazione e senza pagare le tasse su circa 20mila dollari di guadagni. Hillary ritiene di essere in vantaggio, cerca di puntare su tematiche che puntano già alla riunificazione del paese. I suoi strateghi ritengono che una campagna molto negativa e aggressiva contro Trump sul piano personale darebbe un’impressione di debolezza e questo è invece il momento di dimostrare sicurezza assoluta e di puntare lo stesso a una vittoria su larga scala, una vittoria che possa consentire con l’effetto traino di conquistare anche la maggioranza al Senato e di attaccare persino la maggioranza repubblicana alla Camera.

È questo dunque il capolinea, il punto di arrivo. Trump domani sarà in Florida per chiudere la sua campagna “in casa”, da solo. Hillary sarà in Pennsylvania lo Stato must per lei. E sul palco ci saranno il marito Bill, il presidente Barack Obama e Michelle Obama. Lo sforzo di gruppo contro lo sforzo del “lider maximo”. Vinca il migliore.

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