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Dossier Dai «bad hombres» i rischi maggiori per Trump

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

Dai «bad hombres» i rischi maggiori per Trump

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(Reuters)
(Reuters)

A Orlando, sabato scorso, la fila alle urne durava già un’ora e mezza. Una fila lunga e ordinata di elettori, quasi tutti ispanici, che usufruivano del voto anticipato offerto dallo stato della Florida e che lasciava presagire per oggi, all’apertura ufficiale di tutte le urne, folle senza precedenti. La mobilitazione senza precedenti della comunità di origini latinoamericane è l’altra grande novità, accanto a quella dei bianchi arrabbiati, delle elezioni del 2016, dal Nevada all’Arizona. Ed è di segno esattamente opposto: potrebbe decidere, superando il disagio bianco, la battaglia per la presidenza americana a favore di Hillary Clinton contro Donald Trump.

«La storia di queste elezioni potrebbe essere alla fine scritta dal voto ispanico», ha riconosciuto il senatore repubblicano Lindsey Graham della South Carolina al New York Times. Le cifre parlano da sole: in Florida a ieri 565.000 cittadini di origine latinoamericana si erano recati di persona alle urne, un incremento del 100% rispetto soltanto al 2012. E contando i voti via posta per chi è lontano dal suo seggio a “imbucare” le schede sono stati ben 911.000, per un terzo nuovi elettori, pari al 14% del totale dei voti finora effettuati.

Questa corsa ai seggi appare in tutto e per tutto una convinta reazione alle posizioni xenofobe del candidato repubblicano, reazione che ha unito anche anime disparate della comunità. Come gli ispanici di origine cubana, tradizionalmente più conservatori, e portoricana, sensibili agli appelli progressisti. Mike Fernandez, miliardario che riconduce le sue radici a L’Avana pre-Castro, mostra la profondità della crisi che investe il partito di Trump in una fascia di elettorato che è in assoluto la più rapida per crescita nel Paese. Fernandez è sempre stato un finanziatore repubblicano, ma adesso è schierato con Clinton e in un messaggio ha invitato altri a fare altrettanto. «Senza una riorganizzazione della leadership del partito repubblicano - ha scritto - moriremo di una cancrena che si chiama Trump», con le sue invettive contro i messicani stupratori, criminali e narcotrafficanti da tenere alla larga con un muro. Contro ispanici che ancora nell’ultimo dibattito presidenziale aveva definito «bad hombres», gentaglia.

La Florida non è isolata. Impennate di nuovi elettori di origine latinoamericana vengono registrate in altri stati, dal Colorado al Nevada e fino alla conservatrice Arizona. Nella contea di Clark in Nevada, che comprende Las Vegas, i democratici hanno accumulato all’apertura delle urne un vantaggio di oltre 72.000 voti anticipati, superiore ai 71.000 di quattro anni or sono quando Barack Obama vinse facilmente lo stato di sette punti percentuali.

Simili exploit sono un segnale di buon auspicio per l’affluenza e per il peso del voto ispanico: nel 2012 ancora soltanto il 49% degli aventi diritto si recò alle urne, contro il 62% della media della popolazione americana. I bianchi si recarono allora ai seggi in linea con le percentuali nazionali e gli afroamericani al 66 per cento. I margini per aumentare la partecipazione alle elezioni tra i latinoamericani sono dunque considerati ampi, superiori a quelli di altre comunità, particolarmente in stati quali Colorado e Nevada - oggi conteso come la Florida tra Clinton e Trump - che nel 2012 rimasero in realtà indietro rispetto alla media nazionale.

Il voto ispanico, insomma, potrebbe essere pronto oggi ad abbandonare l’immagine finora mantenuta di “gigante addormentato”. Il risultato politico di un simile boom non è assicurato: i sondaggi tra gli ispanici sono considerati poco attendibili, perché condotti tra elettori potenziali più difficili da raggiungere telefonicamente. Così durante la campagna sono parsi molto volatili, dando a Clinton un vantaggio che va da un debole 15% a un record del 55% su Trump. Nell’influente gruppo degli ispanici che parlano soprattutto spagnolo oppure entrambe le lingue, cioè anche l’inglese - e che raggruppa la maggior parte dei nuovi elettori - il distacco a favore di Clinton appare tuttavia assai più uniforme e netto, l’80% contro l’11 per cento. In Florida Trump rischia di fare nettamente peggio, di nove punti percentuali, di quanto non fece il suo predecessore Mitt Romney contro Obama nel 2012. E una simile débâcle è paventata su scala nazionale, dove Clinton potrebbe migliorare il distacco inflitto da Obama ai repubblicani con il 71% dei consensi. Trump, preoccupato di sollevare lo spettro del razzismo e dei diritti dei bianchi, potrebbe avere inavvertitamente risvegliato il colosso assopito della politica americana. Un “bad hombre” capace di schiacciarlo alle urne.

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