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Dossier Il voto ispanico arma segreta di Clinton

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Il voto ispanico arma segreta di Clinton

NEW YORK - Un numero senza precedenti di elettori ispanici potrebbe decidere la battaglia per la presidenza americana a favore di Hillary Clinton e contro Donald Trump. In Florida a ieri 565.000 cittadini di origine latinoamericana si erano recati di persona alle urne per trarre vantaggio del voto anticipato, un incremento del 100% rispetto al 2012. E contando i voti via posta hanno imbucato schede in ben 911.000, per un terzo nuovi elettori e pari al 14% del totale dei voti finora effettuati.

Appare, questa corsa ai seggi, in tutto e per tutto una reazione alle posizioni xenofobe del candidato repubblicano. Mike Fernadez, miliardario di origine cubana, mostra la profondità della crisi che investe il partito di Trump in una fascia di elettorato che è oggi la più rapida per crescita nel Paese. Fernandez è un finanziatore repubblicano ma adesso si è schierato con Clinton e in un messaggio ha invitato esplicitamentr altri a fare altrettanto. «Senza una riorganizzazione della leadership del partito repubblicano - ha scritto - moriremo di una cancrena che si chiama Trump», con le sue invettive contro i messicani stupratori, criminali e narcotrafficanti da tenere alla larga con un muro.

La Florida non è un caso isolato. Impennate di nuovi elettori ispanici vengono registrate in altri stati con una forte presenza della comunità, dal Colorado al Nevada e fino alla conservatrice Arizona. Nella contea di Clark in Nevada, che comprende Las Vegas, i democratici hanno già accumulato un vantaggio di 72.000 voti anticipati, superiore ai 71.000 di quattro anni or sono, quando Barack Obama alle scorse presidenziali vinse lo Stato di sette punti percentuali.

Simili cifre sono decisamente un segnale di buon auspicio per l'affluenza finale e per le tendenze del voto: nel 2012 ancora solo il 49% degli ispanici si recò alle urne contro il 62% della media della popolazione. I bianchi si recarono ai seggi in linea con le percentuali nazionali e gli afroamericani al 66 per cento. Vale a dire che i margini per aumentare la partecipazione alle elezioni tra i latinoamericani è ampia, particolarmente in Stati proprio quali Colorado e Nevada che nel 2012 fecero peggio della media. Il voto ispanico, insomma, potrebbe risvegliarsi e abbandonare l'immagine finora mantenuta di «gigante addormentato».

Il risultato politico di un simile boom non è sicuro. I sondaggi tra gli ispanici sono considerati poco attendibili, perchè condotti tra elettori potenziali più difficili da raggiungere telefonicamente. Così variano, dando a Clinton un vantaggio che va da un debole 15% a un record del 55% su Trump. Tra l'influente gruppo degli ispanici che parlano entrambe le lingue, inglese e spagnolo, il distacco a favore di Clinton appare tuttavia assai più uniforme e netto, 80% contro 11 per cento.

Nella grande e incerta Florida, in particolare, il duello raggiunge il massimo di intensità. Trump rischia di fare nettamente peggio, di nove punti percentuali, di quanto non fece il suo presecessore Mitt Romney contro Obama nel 2012. E allora Obama si aggiudicò comunque il 60% del voto ispanico nello stato e il 71% su scala nazionale.

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