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Iniezione di fiducia per i populisti

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Iniezione di fiducia per i populisti

  • –Vittorio Da Rold

Sembra realizzarsi la profezia del nuovo G-7 lanciata in un tweet dal tedesco Martin Selmayr, capo di gabinetto del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, quando accostò Beppe Grillo al neo ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, a Donald Trump e Marine Le Pen, parlando di uno «scenario dell’orrore». Nel tweet Selmayr scriveva a maggio scorso, a margine del G7 di Tokio: «Un G-7 2017 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario horror che mostra bene che vale la pena di lottare contro il populismo». Oggi che la profezia si è avverata a metà, assistiamo alle ricadute dello tsunami americano in Europa.

Ancora prima della proclamazione ufficiale della vittoria, la leader del partito di estrema destra francese Front National, Marine Le Pen, si è congratulata con un tweet con Donald Trump. Un segnale importante da quell’Europa che guarda con simpatia al rappresentante repubblicano. Un sostegno a cui ha fatto seguito quello del vicepresidente del partito, Florian Philippot: «Il loro mondo si sta sgretolando. Il nostro sta per essere creato».

Pronto anche il leader xenofobo olandese Geert Wilders che su Twitter ha scritto: «La gente si sta riprendendo il proprio Paese. Lo stesso faremo noi». Seguito a ruota da Viktor Orban, il premier ungherese che ha commentato la vittoria di Trump:«Che magnifica notizia. La democrazia è ancora viva».

Il sentimento di esultanza è stato condiviso dal leader del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, Nigel Farage, quello che ha dato fuoco alle polveri di Brexit. «Sembra che il 2016 stia per essere l’anno di due grandi rivoluzioni politiche» ha commentato, aggiungendo che il successo di Trump potrebbe essere «più grande di quello della Brexit». La sterlina ai minimi e l’aumento dei prezzi dei beni importati sono evidentemente un successo per Farage.

In Germania, Beatrix von Storch, vice presidente nazionale di Alternative für Deutschland, ha parlato della vittoria di Trump come «un segnale che i cittadini del mondo occidentale vogliono un cambiamento politico». «Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Germania - ha scritto - i cittadini vogliono confini sicuri, meno globalizzazione e politiche di buon senso che siano più concentrate sul loro Paese».

Persino Alba dorata, formazione di estrema destra greca e terzo partito in Parlamento, si è felicitata con Trump: «Questa è stata una vittoria per le forze che si oppongono alla globalizzazione, stanno combattendo l’immigrazione clandestina e sono a favore di stati etnici puri, a favore di autosufficienza per l’economia nazionale», ha detto un portavoce del partito. «Un grande cambiamento globale sta iniziando, che continuerà con i nazionalisti che prevalgono in Austria, Marie Le Pen in Francia e Alba Dorata in Grecia».

Non poteva mancare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «Il popolo americano ha fatto la sua scelta e con questa scelta negli Stati Uniti inizia una nuova stagione». Dopo le critiche rivoltegli in passato con l’accusa di «non tollerare i musulmani in America», e la proposta di far cambiare nome alle Trump Towers di Istanbul, nelle ultime settimane il leader di Ankara aveva ammorbidito la sua posizione verso il neo-presidente americano. Trump aveva a sua volta espresso il suo appoggio ad Ankara: «Ammiro Erdogan per come ha reagito al colpo di Stato. Che diritto hanno gli Usa di dire agli altri Paesi cosa devono fare?». Miele per le orecchie di Erdogan impegnato in una feroce repressione del partito dei filo-curdi.

Un mondo inesplorato si apre davanti a noi dopo il sorprendente voto Usa dove sono saltati i vecchi schemi pre-Brexit. Di fronte a questa realtà geopolitica, i populismi europei festeggiano quella che viene definita da alcuni sociologi americani - come Arlie Russell Hochschild, fortunata autrice di “Stragers in their Own Country”, Stranieri nella propria nazione, un libro basato sulla esperienza sul campo di cinque anni tra i supporters dei Tea Party in Louisiana - la “vendetta” elettorale della working class bianca, che si è comportata come una minoranza etnica pur essendo il 40% dell’elettorato Usa, concentrandosi compatta su un candidato anti-establishment. L’operaio bianco arrabbiato è il personaggio antropologico di questa nuova maggioranza silenziosa, che ha dominato questa consultazione elettorale.

Lunga è la fila di chi è pronto a proporsi come alleato di ferro del nuovo presidente Usa, Trump, campione del ritorno allo stato-nazione, al controllo dei suoi confini dai migranti, alla fine del multilateralismo commerciale a favore del ripristino di dazi per difendere produzioni locali, favorire il fenomeno del ritorno a casa delle delocalizzazioni fatte in Messico e in Asia. Insomma, tutti coloro che parlano di ritorno alle nazioni, di muri da costruire, organismi multilaterali da mettere in soffitta come la Wto.

Il premier ungherese Viktor Orban, la candidata alle presidenziali francesi Marine Le Pen, l’olandese Geert Wilders, il candidato austriaco dei Liberal-nazionalisti alle presidenziali Norbert Hofer e Frauke Petry, leader estrema dell’Alternative für Deutschland, sono i primi di questa nuova pattuglia di alleati europei ideologicamente affini a Trump.

Un gruppo di populisti destinato ad ingrandirsi nei prossimi giorni, consci che il fenomeno isolazionista americano è la coda del terremoto di Brexit, voto refendario che ha scardinato le volontà dell’élite politica britannica liberista e multilateralista.

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