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La nuova era di stimoli fiscali

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Europa

La nuova era di stimoli fiscali

  • –Morya Longo

«Nel 2017 potrebbe verificarsi una sorta di allineamento di pianeti in Europa: ci saranno nuovi governi appena eletti che dovranno rispondere, in un contesto di minori stimoli monetari, alla crescente domanda di politiche fiscali espansive. L’anno delle elezioni in Germania, Francia e Olanda, insomma, può rivelarsi un’opportunità per il Vecchio continente». Continua pagina  2

di Morya Longo

Guillaume Menuet, senior economist di Citigroup, prova a girare la frittata che per mesi è stata cucinata sui mercati finanziari globali: il populismo, con la sua spinta verso minore austerità e maggiori stimoli fiscali, da grande rischio potrebbe trasformarsi in un’opportunità. Come Donald Trump si è improvvisamente trasformato da spauracchio per i mercati a speranza, anche l’incerta tornata elettorale in Europa potrebbe fare altrettanto. Con impatti forti sui mercati azionari (che Citigroup prevede in crescita a livello globale del 10% entro fine 2017) , su quelli obbligazionari (che subiscono un inesorabile rialzo dei rendimenti), sull’inflazione (che Citi prevede in crescita anche in Europa dallo 0,3% del 2016 all’1,3% del 2017 e del 2018) e sulla politica monetaria (con la Bce che potrebbe piano piano ridurre gli stimoli).

La visione di Menuet è condivisa da tanti suoi colleghi economisti e strateghi della banca americana, riuniti in questi giorni in un convegno sugli scenari dei mercati globali. Jonathan Stubbs, capo della strategia sul mercato azionario per Europa e Medio Oriente, ritiene che «la tornata elettorale porterà a un ribilanciamento delle politiche». Se negli ultimi anni la spinta all’economia è stata cercata soprattutto nella politica monetaria, cioè nel quantitative easing (Qe), nei prossimi anni si andrà «verso Qe plus». Cioè – sostiene Stubbs – si andrà verso un mix di politiche monetarie un po’ meno espansive e di politiche fiscali più espansive. Ovunque: «È difficile trovare una sola parte del mondo dove la popolazione non chieda ai Governi maggiori stimoli fiscali». «Persino in Europa la Commissione sembra orientarsi sempre più verso una flessibilità di bilancio, nonostante gli enormi vincoli che ha». Insomma: è possibile che dopo anni di austerità collettiva, stia iniziando una nuova era. Proprio per rispondere al populismo. Questa, almeno, è l’opinione degli osservatori di Citigroup. E non solo: è una visione che sui mercati sta iniziando a farsi strada tra diverse case d’investimento.

Questo, come è ovvio che sia, potrebbe secondo Citigroup avere un impatto significativo sui mercati finanziari. In parte, con l’elezione di Trump, già c’è stato. Il primo effetto è il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato, coerente con un possibile rimbalzo dell’inflazione stimolata proprio dalle politiche fiscali più espansive. «Diciamo la verità: sul mercato obbligazionario in queste settimane c’è stato un gigantesco profit warning», osserva Stubbs.

Il secondo effetto che gli esperti di Citigroup prevedono è il rialzo dei mercati azionari, che - a dispetto di un rapporto tra prezzo dei titoli e utili delle aziende già molto elevato - sono in vari settori ancora a buon mercato. «Dopo la crisi dell’Eurozona, i bassi tassi d’interesse e il quantitative easing hanno spinto al ribasso il premio per il rischio più sui mercati obbligazionari che su quelli azionari – osserva Stubbs -. Questo lascia le Borse dei Paesi industrializzati su una posizione migliore». Sapendo scegliere i settori, sostiene insomma la banca Usa, in Borsa c’è ancora trippa. Anche perché le nuove politiche fiscali potrebbero dare una forte mano ai profitti: calcola Citigroup che un rincaro del 10% del dollaro, unito a un taglio del 20% negli Usa della tassazione sulle imprese, potrebbe aumentare di 6 punti percentuali gli utili per azione a livello globale. Sei punti che andrebbero ad aggiungersi ad una crescita degli utili già prevista per il 2017 al 7% da Citigroup e al 12% dalla media degli economisti.

Ecco da dove parte la possibile svolta sui mercati: se fino ad oggi (in un mondo sostenuto solo da politiche monetarie ultra-espansive) aveva senso comprare obbligazioni e titoli sicuri, domani (in un mondo in cui potrebbero essere le politiche fiscali a stimolare l’economia e l’inflazione) avrà più senso cercare opportunità in quei settori di Borsa sottovalutati e sensibili alla ripresa economica. A partire dalle banche e dal settore energetico.

Ovviamente questa visione è soggetta a grandi rischi potenziali, che potrebbero diametralmente cambiare lo scenario. Gli stessi economisti di Citigroup lo affermano: «Il rischio principale che i partiti anti-sistema portano con sé è quello della disgregazione dell’Eurozona – osserva Willem Buiter, global chief economist -. In questo senso, i pericoli maggiori potrebbero arrivare da Italia e Francia». Questo resta un rischio estremo, ma non da escludere. L’altra grande incognita (che attualmente i mercati sembrano sottostimare) è rappresentata dal lato oscuro della politica economica di Donald Trump: il protezionismo. «Una eventuale guerra commerciale potrebbe portare a una recessione globale», aggiunge Buiter. Restano poi sul tappeto, anzi esasperati dalla politica della nuova Casa Bianca, i problemi dei Paesi emergenti. Cina in testa. Ma almeno, dopo mesi di orizzonte nero, c’è chi sul mercato inizia a guardare l’incertezza politica come un’opportunità. «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose» diceva Einstein dopo la crisi del 29: questo pensiero sembra stia iniziando ad attecchire anche oggi sulle Borse.

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