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Il made in Italy festeggia ma sul futuro resta la cautela

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Il made in Italy festeggia ma sul futuro resta la cautela

«Se arriva alla parità? Potrei anche offrirle un pranzo sul lago». Ugo Pettinaroli è di buon umore. E con qualche ragione. L’imprenditore piemontese del valvolame, 50 milioni di euro di ricavi consolidati, realizza infatti il 40% del proprio business in nordamerica, con listini in dollari.

La rivalutazione della moneta Usa è dunque un’ottima notizia, per lui, come per migliaia di altre imprese italiane che proprio grazie all’export negli anni hanno saputo resistere e reagire alla peggior crisi dal dopoguerra.

A marzo del 2014 per acquistare un euro occorrevano 140 cents, oggi ne servono 34 in meno, con effetti benefici sulla competitività dei nostri prodotti. L’impatto sulle commesse delle aziende, che hanno sfruttato la rivalutazione del dollaro sia per rinforzare i propri margini che per guadagnare quote di mercato, è visibile nei dati “macro” del sistema Italia, che ha visto le vendite verso Washington arrivare a nuovi record. Nel 2015 l’export è lievitato a 36 miliardi, sei in più rispetto all’anno precedente, miglior performance tra i nostri principali mercati di sbocco. In quattro anni la quota di mercato nazionale sulle importazioni Usa è lievitata di mezzo punto, dall’1,6% al 2,1%. La nuova risalita del biglietto verde, che riporta l’euro sui minimi toccati più volte lo scorso anno, arriva peraltro in un momento cruciale. Anche se a settembre lo scatto è stato rilevante (+11,1%), nell’intero 2016 il made in Italy verso gli Stati Uniti è praticamente al palo (+0,7% nei nove mesi), in linea con il non esaltante bilancio complessivo del nostro export.

L’ultima parte dell’anno, però, alla luce degli ultimi sviluppi, potrebbe presentare qualche sorpresa positiva.

«Avere un dollaro vicino alla parità con l’euro - spiega il presidente di Confindustria Ceramica Vittorio Borelli - è ideale per le nostre aziende, rafforza il potere d’acquisto dei nostri importatori esteri. L’altro lato della medaglia è però la crescita dei costi dell’energia importata. Per ora, tuttavia, i listini di elettricità e gas sembrano sotto controllo. Senza alcun dubbio questo livello di cambio a noi va molto bene».

I margini di manovra aggiuntivi vengono utilizzati dalle aziende in modo diverso, in parte per migliorare la propria redditività, in parte per ridurre i prezzi in valuta locale pur incassando un controvalore aggiuntivo in euro. «Movimenti così limitati come quelli attuali - spiega Borelli - non giustificano al momento un intervento sui listini, che nel nostro caso verso gli Stati Uniti sono in dollari. Per ora i clienti non chiedono sconti, cosa avvenuta ovviamente in passato nella brusca discesa da 1,40 a 1,10».

«I nostri listini nordamericani sono in euro - spiega Marco Bonometti, imprenditore della componentistica automotive (Omr, 700 milioni di ricavi, nuovo massimo storico) e presidente dell’Associazione Industriale Bresciana - e per il momento non penso di aggiornarli: vogliamo dare tutto il beneficio ai clienti e sostenere la nostra competitività, che peraltro si gioca anzitutto nell’innovazione e nella tecnologia. La speranza è che in questo contesto valutario più costruttori vengano ad acquistare in Europa. Certo, se penso al passato, ad un paio di anni fa, con il dollaro così forte ora è davvero cambiato il mondo. Anche se la vera sfida rimane quella di rendere competitivo il nostro intero sistema-paese, indipendentemente dal cambio».

Il dubbio per molte imprese riguarda l’eventuale copertura a termine sul cambio, un modo per sterilizzare oscillazioni future del dollaro rinunciando alla scommessa di un ulteriore apprezzamento. «Noi pensiamo di “coprirci” - spiega Pettinaroli - perché quello attuale mi pare un livello già molto buono. Al momento peraltro non pensiamo di muovere i nostri listini, che sono in dollari, puntando a rinforzare la marginalità. Ad oggi modo le previsioni in tema valutario sono complesse, prima delle elezioni Usa la vittoria di Trump veniva associata ad una discesa del dollaro e invece per ora sta accadendo il contrario». «Aspettiamo che il cambio si assesti - spiega Borelli - e poi valutiamo eventuali coperture. Anche per noi i listini in dollari al momento non cambiano, preferiamo rafforzare i margini, del resto i movimenti attuali, da 1.12 a 1.06, sono ancora limitati».

Ad esprimere cautela è anche Roberto Snaidero, presidente di Federlegno-Arredo, che non considera per nulla definitivo l’attuale rapporto di cambio. «Mi pare che almeno nelle intenzioni - spiega l'imprenditore - il nuovo presidente voglia sostenere l’industria nazionale e un cambio forte certo non aiuta l’export Usa. Non credo quindi che l’avvicinamento alla parità sia scontato, anzi. Certamente a questi livelli per il nostro settore si aprono nuove opportunità: un paio d’anni fa quota 1 e 40 ci aveva bloccato l’export, ora il trend si è invertito e le vendite del comparto negli Usa continuano a progredire».

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