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L’incognita americana sulla ripresa dei prezzi

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L'Analisi|l’analisi

L’incognita americana sulla ripresa dei prezzi

Doveva essere un accordo più semplice, invece lo scontro sottostante fra sauditi e iraniani è stato logorante, al limite della rottura. I prezzi ne hanno risentito con oscillazioni intorno al 10% sotto la soglia dei 50 dollari, valore che resta meno della metà rispetto ai 110 dollari su cui si erano stabilizzati prima del 2014.
Il taglio previsto è di 1,2 milioni di barili al giorno, dagli attuali livelli record di 33,7 milioni, verso il nuovo tetto, già annunciato a settembre, di 32,5 milioni. È una riduzione marginale, il 3,6% della loro produzione, l’1,2% di quella mondiale. Tanto rumore per così poco? Sì, in effetti al mercato basta poco per risolvere l’eccesso di offerta che pesa sul mercato da metà del 2014, quando l’Arabia Saudita decise di puntare alle quote di mercato.

Era dal 2008 che l’Opec non tagliava, ma un accordo così allargato, con quote distribuite su tutti, anche con l’Iraq, risale addirittura al 1998, quando fu fissato a 27,5 milioni di barili al giorno, 6 milioni in meno di oggi e con prezzi che oscillavano intorno ai 10 dollari. Da allora gli accordi furono sempre per aumentare, per rincorrere una domanda che saliva troppo in fretta e che portò i prezzi ai massimi di 140 dollari nel luglio del 2008. Poi i prezzi si stabilizzarono, tranne la momentanea caduta del 2009, a 110 dollari, fino alla reazione veemente dell’Arabia Saudita a metà 2014, quando decise di inondare il mercato, spaventata dall’accordo fra Obama e l’Iran.

Ora l’elezione di Trump, che nella sua campagna ha annunciato una linea dura verso Teheran, tranquillizza Riad e paradossalmente favorisce un accordo, con le dovute distanze, fra i due. Nella grande complessità e imprevedibilità del mercato petrolifero, anche ieri è stato confermato come emerga una regola dominante: se Iran e Arabia Saudita si avvicinano, allora i prezzi crescono, se si allontanano, calano. Ieri i sauditi, appunto più tranquilli, hanno finalmente accettato che l’Iran possa tornare a 4 milioni di barili, dagli attuali 3,7. Il calo di 1,5 milioni che aveva sofferto l’Iran a causa delle sanzione del 2012, era stato coperto da una pari crescita dell’Arabia Saudita, alla quale ora rinuncia solo in parte. L’Iran prima della rivoluzione produceva 6 milioni di barili al giorno e lo Scià aveva intenzione di superare i 10 dell’Arabia Saudita. Era il 1978, distanze siderali rispetto alla velocità del mercato di oggi.

L’accordo potrebbe avere carattere ancora più storico se si confermerà il supposto impegno dei Paesi non Opec, per un taglio di 0,6 milioni di barili al giorno, di cui la metà sarebbe a carico della Russia. Mosca si impegnerebbe così, per la prima volta nella sua storia, e dopo tanti tentativi falliti in passato, a ridurre di un 3%. Fra i grandi Paesi produttori di petrolio, la Russia è proprio quello che trarrebbe maggiore beneficio da una stabile ripresa dei prezzi e di ciò immediatamente ne risentirebbe la vicina economia europea.

Rimangono ancora parecchi problemi, come ripartire le quote, il probabile ritorno di Nigeria e Libia, per il momento ancora fuori, la volontà dei sauditi di mantenersi sopra i 10 milioni. E se i non-Opec non volessero partecipare? Su questo punto l’Opec corre il rischio di intestardirsi e di mettere a rischio quanto raggiunto ieri. Ma il limite maggiore a una ripresa solida dei prezzi arriva proprio dagli Stati Uniti di Trump. A Midland, in Texas, ai bordi occidentali del bacino Permiano, che ci sia o non ci sia l’accordo Opec poco conta.

L’attività è in fermento e le perforazioni hanno ripreso a salire, in quanto il processo di efficientamento, avviato anni fa e accelerato con i prezzi bassi del 2014, è continuato anche nel 2016. Sono enormi le riserve individuate negli Usa, ma le tecniche sono complesse e necessitano di prezzi alti. Tuttavia, con il barile a 50 dollari, molte aree sono pronte a ripartire. Il nuovo presidente, al di là degli slogan elettorali, potrà influenzare il settore solo indirettamente, attraverso la nomina a capo della Environmental Protection Agency di qualcuno meno severo, che non ponga troppi vincoli ambientali a un’attività che, comunque, rimane molto invasiva e che qualche problema lo crea. Per l’Opec il rischio di prezzi in caduta si allontana, si goda pure il momento e assapori il ritorno di armonia, come non si vedeva da anni. Sappia però che la tecnologia, al di fuori del cartello, è già ripartita.

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