Le sedute che hanno preceduto il vertice Opec di ieri erano state segnate da un certo scetticismo sulla capacità del cartello di raggiungere un’intesa su come mettere in atto concretamente il taglio della produzione deciso al vertice di settembre. Le notizie in arrivo da Vienna ieri hanno tuttavia fatto ricredere gli scettici. Con notevoli ripercussioni sui mercati finanziari che ieri, inevitabilmente, sono stati orientati soprattutto dalle quotazioni del greggio. Il prezzo del Brent, che nei giorni prima del vertice era sceso fino a 46 dollari al barile, ieri ha rivisto quota 50 dollari. Un rally di cui ha ovviamente beneficiato il comparto energia con l’indice settoriale Stoxx 600 Oil&Gas che ha messo a segno un rialzo del 3,39 per cento. A Piazza Affari le azioni di Saipem (+9,61%), Tenaris (+6,58%) ed Eni (+3,79%) hanno contribuito al riscatto dell’indice Ftse Mib che ha guadagnato il 2,23 per cento.
Una performance alimentata anche dal rimbalzo del settore bancario che, dopo i forti cali dei giorni scorsi legati all’incertezza pre-referendum, ha messo a segno un rialzo del 3,09 per cento. Questo recupero del settore bancario a Piazza Affari è avvenuto in scia al generale rialzo delle azioni degli istituti di credito che in Europa hanno guadagnato in media l’1,14 per cento. Il rimbalzo del prezzo del petrolio è tornato ad alimentare aspettative su una ripresa dell’inflazione visto che il costo dell’energia è cruciale nel determinare l’andamento dei prezzi al consumo. Una scommessa, quella sull’inflazione, che già la vittoria di Trump aveva alimentato e che ieri ha ripreso vigore. Lo dimostra il fatto che i rendimenti del mercato obbligazionario, dopo i cali dei giorni scorsi, siano tornati a salire. Ma anche il fatto che le azioni del settore bancario siano tornate a salire. In particolare a Wall Street che ieri ha toccato nuovi massimi storici sugli indici S&P 500 e Dow Jones. Ci sono varie ragioni per cui le banche hanno tutto da guadagnare in un contesto di ripresa dell’inflazione. La più importante è sicuramente che ciò apre la strada ad un aumento del costo del denaro con conseguenze positive per la redditività del settore fiaccata da anni di tassi a zero. È soprattutto sulla scia dei rialzi delle banche a Wall Street che il settore è salito anche in Europa. Questo contesto ha dato un po’ di ossigeno soprattutto ai nostri istituti di credito, in assoluto i più penalizzati nei giorni scorsi per via dell’incertezza generale sugli esiti del referendum costituzionale di domenica.
Che il comparto del credito sia l’anello debole della catena in questa fase è sotto gli occhi di tutti da tempo. Per gli investitori infatti una vittoria del no potrebbe mettere a rischio le operazioni di rafforzamento patrimoniale del Monte dei Paschi di Siena e di Unicredit. Secondo Céline Renucci, economista per l’area euro di AXA Investment Managers, le ripercussioni più serie potrebbero esserci soprattutto se dovesse esserci un’affermazione del «no» di larga misura. Il rischio contagio a questo punto potrebbe riguardare anche le banche europee più esposte sull’Italia.
Discorso diverso per i titoli di Stato. «I BTp scontano già una vittoria del no e, a prescindere dall'esito del voto, beneficeranno a nostro avviso dell'ulteriore sostegno della Bce» sostiene Andrea Iannelli, Investment Director Obbligazionario di Fidelity International convinto che «nonostante l'incertezza che si profila all'orizzonte, i titoli obbligazionari italiani offrano valore data la valutazione attuale». Ieri, in una giornata i cui buona parte dei titoli governativi dell’area euro ha sperimentato rialzi dei rendimenti, BoT e BTp hanno tenuto le posizioni. Il tasso a 10 anni è risalito rispetto ai livelli della vigilia ma si è comunque mantenuto sotto la soglia del 2 per cento. Lo spread con i Bund tedeschi è sceso a quota 171 punti mentre il differenziale con i Bonos spagnoli si è mantenuto lontano dai massimi delle ultime settimane chiudendo a quota 43 punti.
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