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Al Pentagono un generale anti-Iran

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Al Pentagono un generale anti-Iran

  • –Marco Valsania

NEW YORK

Donald Trump non ha ancora scelto il suo segretario di Stato, una poltrona che scotta e vanta almeno quattro pretendenti: Mitt Romney, l’ex generale David Petraeus, il senatore Bob Corker e Rudy Giuliani. Né ha preso possesso della Casa Bianca, cerimonia prevista il 20 gennaio. Formalmente, anzi, non è neppure stato eletto presidente (lo sarà solo il 19 dicembre dai Grandi elettori). Ma i preparativi di Trump, dopo essersi distinti nell’economia con l’intesa con United Technologies per salvare centinaia di posti di lavoro destinati al Messico, si sono intensificati anche in politica estera: la nuova amministrazione ha lasciato trapelare di avere allo studio drastici correttivi nel disgelo con l’Iran, senza però arrivare a “stracciare” l’accordo nucleare raggiunto da Barack Obama e dall’Europa con Teheran.

All’esame del team di transizione del leader repubblicano sarebbe un nuovo regime di sanzioni non legate ai programmi atomici, quali ritorsioni per lo sviluppo di missili balistici e interventi in risposta alle violazioni dei diritti umani e al sostegno al terrorismo. L’obiettivo, stando a quanto rivelato del quotidiano Financial Times che cita fonti vicine a Trump, è esplicito: aumentare le pressioni sul Paese mediorientale e contenere le sue ambizioni di potenza regionale, evitando allo stesso tempo escalation che cancellino l’intesa sul disarmo nucleare.

La ricerca di una nuova, più stretta ma tuttora pragmatica, via diplomatica con l’Iran rappresenterebbe se confermata un distacco almeno parziale dalle apocalittiche denunce dell’accordo nucleare effettuate durante la campagna elettorale. E nelle ultime ore è stata resa più credibile da un’altra nomina, quella dell’ex generale dei marines James Mattis come segretario alla Difesa.

Mattis, 66 anni, è un noto critico dell’amministrazione Obama in Medio Oriente, che ha accusato di timidezza e ingenuità nonché di atteggiamenti colpevolmente “strategy free”, privi di strategia. Da Obama il generale era stato emarginato quando era arrivato alla guida del Comando Centrale delle forze armate, responsabile cioè proprio della regione che comprende Medio Oriente, Nordafrica e Asia centrale, perché ritenuto troppo combattivo all’interno, nei confronti dell’amministrazione, e troppo aggressivo all’esterno, al cospetto di Teheran che tuttora giudica «la minaccia più seria» alla stabilità dell’area mediorientale. Mattis è però contrario a cancellare oggi del tutto l’accordo nucleare, mossa che considera dannosa per gli interessi americani e degli alleati, e sposa piuttosto una sua rigorosa applicazione. L’ex generale ha una prospettiva più sobria di quella sostenuta da Trump in campagna elettorale anche dei rapporti con la Russia. Più che auspicare facili riavvicinamenti, è un critico dell’espansione di Mosca in Crimea e Ucraina.

Studioso di strategie e storia militare - colleziona volumi nel genere - durante un’illustre carriera in prima linea, dalla guerra in Iraq a quella in Afghanistan, ha conquistato soprannomi rivelatori della sua dedizione, quale Warrior Monk, monaco guerriero. Trump lo ha paragonato a George Patton, il comandante dello sbarco in Normandia. Mattis aveva smesso la divisa nel 2013, risultato delle tensioni con Obama. Per essere confermato al Pentagono avrà bisogno di uno speciale nulla osta del Congresso, perché non sono trascorsi i cinque anni minimi lontani dal servizio attivo prescritti ai militari per poter accettare incarichi di governo. L’approvazione della sua nomina appare tuttavia probabile, grazie al sostegno offerto da influenti senatori del calibro del repubblicano John McCain dell’Arizona, che aveva raccomandato Mattis a Trump.

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