Mondo

Trump «provoca» la Cina

  • Abbonati
  • Accedi
Asia e Oceania

Trump «provoca» la Cina

Ormai è quasi certo, la chiamata di Donald Trump con il presidente taiwanese Tsai Ying-wen, prima crisi di politica estera del presidente eletto, non è stata soltanto una casuale leggerezza. È difficile immaginare che Trump (tra l’altro in affari con Taiwan) ignorasse la “One China Policy” condivisa e rispettata fra Pechino e Washington in 40 anni di storia. Anche perché il capo di gabinetto di Trump, Reince Preibus, conosce benissimo la situazione, aveva viaggiato a Taiwan e aveva conosciuto la signora Tsai Ying-wen prima che vincesse le elezioni a maggio. E Preibus, avvocato e presidente del partito repubblicano, non poteva non sapere che i presidenti americani non parlano con i leader di Taiwan. C’è infatti un gioco delle parti secondo cui la Cina non riconosce Taiwan e la considera una provincia ribelle ma, d’accordo con gli Usa, accetta che Taipei abbia relazioni commerciali con l’America e che acquisti persino armamenti da Washington. Può anche continuare con il suo sistema politico democratico fino a quando non si troverà una soluzione all'impasse.

Ci sono anche aspetti formali ben codificati, per esempio la risoluzione 2758 del novembre ’71 dell’Assemblea Generale Onu che riconosce la repubblica popolare cinese come “unico” rappresentante della Cina. La risoluzione fu approvata dopo che nel luglio dello stesso anno Richard Nixon annunciò il suo storico viaggio in Cina. Nel momento in cui la risoluzione fu passata la Republic of China di Chiang Kai-shek fu espulsa dall’Onu perché occupava un “seggio illegale”. Ed è proprio sulla base di questa teoria dell’”apertura”, ideata da Henry Kissinger, che si sono gettate le fondamenta per lo sviluppo economico e sociale della Cina, oggi una delle grandi potenze economiche del nostro tempo. Nixon andò poi in Cina nel febbraio ’72, ma ci vollero altri sette anni, fino al 1979 per riaprire formalmente le relazioni diplomatiche.

Non può stupire dunque la reazione allibita di Pechino alla telefonata di Trump. In una nota ufficiale tuttavia si è scelta la strada della diplomazia, si è riaffermato che la «politica di una sola Cina permane è irrinunciabile e ha una solenne condivisione a Washington» e si chiede che «le parti rilevanti a Washington si prestino per evitare che la questione Taiwan produca non necessarie conseguenze negative nella relazione complessiva fra Cina e Stati Uniti». Una lezione di diplomazia per Trump che sembra muoversi nei contesti diplomatici internazionali come un elefante in un negozio di cristallerie.

Questa infatti non è la prima gaffes di politica estera di Trump. “Il Donald” ha già accettato un invito da parte del presidente pachistano Nawaz Sharif irritando l’India; ha invitato a Washington il presidente delle Filippine che aveva insultato pubblicamente Barack Obama - e dunque l’istituzione stessa della Casa Bianca - ha chiesto che l’ex leader del partito estremista britannico Indipendence, Nigel Farage, fosse nominato ambasciatore a Washington. Non solo, l’affronto di Trump a Londra è andato più in là: la prima telefonata da presidente eletto degli altri presidenti era riservata sempre al primo ministro britannico in nome della “special relationship” ma Trump ha preso la chiamata di Theresa May dopo aver parlato con altri 9 leader. E invece di invitarla le ha detto «fammi sapere se passi da queste parti». Ora è toccato alla leadership cinese, presa in totale contropiede da questo sviluppo del tutto inatteso: aveva infatti anticipato attraverso le agenzie di stampa statali che Trump era un uomo d’affari «pragmatico» non legato alle sue posizioni più populiste e ideologiche che potevano condurre a un confronto. Ora Trump potrebbe scardinare la consuetudinde su cui ha poggiato fra molti alti e bassi la relazione fra i due paesi. Che ci sia anche un interesse personale? Un costruttore locale vuole realizzare un Trump Hotel all’aeroporto e sembra che ci siano contatti mesi fa. Insomma, il mondo della diplomazia è inorridito. L’amministrazione Obama è preoccupata, ha appreso della chiamata di Trump con Taiwan a cose fatto e ha suggerito che il presidente eletto si consulti con alti funzionari del dipartimento di Stato per poter «mettere in prospettiva certe relazioni». Ma Trump non demorde: «È interessante come possiamo vendere miliardi di dollari in armamenti a Taiwan ma non posso neppure accettare una chiamata di congratulazioni dal suo leader», ha scritto in un twitt.

© RIPRODUZIONE RISERVATA