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Piazza Affari, rally con le banche

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Piazza Affari, rally con le banche

  • –Maximilian Cellino

Prima una sostanziale tenuta all’indomani del voto referendario che ha bloccato le riforme costituzionali promosse dal governo Renzi, poi addirittura una vera e propria volata nel giorno successivo. Piazza Affari continua a stupire, e con il progresso del 4,15% segnato nella seduta di ieri si riporta a ridosso dei valori visti prima della Brexit: protagoniste assolute le banche, che con un maxi-rimbalzo (+9% l’indice di settore) hanno permesso al Ftse Mib di segnare la migliore performance giornaliera dallo scorso 11 marzo, cioè dal giorno successivo all’annuncio dell’incremento degli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea.

Dietro al +12,8% registrato da UniCredit, al +10% di Mediobanca, al +9% messo a segno da Ubi Banca, Bpm e Banco Popolare e all’8% di Intesa Sanpaolo tutti gli operatori sono concordi nel vedere i classici movimenti di ricopertura che seguono le pesanti vendite al quale il settore finanziario è sottoposto ormai da mesi e in particolare nelle ultime settimane di attesa del voto. Movimenti che risultano tanto più violenti quanto le vendite al ribasso con fini speculativi sono state più intese, come si spiega in modo più dettagliato nell’analisi a fianco.

I problemi delle banche italiane restano però quelli di sempre. E a ricordarlo ancora una volta, se mai fosse stato necessario, ci ha pensato Fitch, che ieri ha cambiato in «negativo» l’outlook sugli istituti dei credito del nostro Paese ricordando quello che da tempo sostengono un po’ tutti gli analisti finanziari: il sistema è sempre più vulnerabile agli shock a causa del problema crediti deteriorati, che resta secondo l’agenzia di rating la questione più urgente da affrontare.

A complicare il quadro è anche la stagnazione economica del nostro paese (che Fitch prevede crescere dello 0,9% nel 2017 e dell’1% nel 2018), la bassa redditività del settore finanziario e adesso anche l’esito negativo del referendum costituzionale: il successo del «no», sottolineano gli analisti «porta incertezza politica e, possibilmente, a una ridotta capacità di portare a compimento le riforme», aggiungendo quindi pressione al processo di ricapitalizzazione richiesto alle banche in difficoltà con i crediti in sofferenza.

Se si esclude Milano, e per certi versi anche Madrid (salita del 2,64%), nel resto d’Europa i listini azionari si sono mantenuti decisamente più cauti, pur chiudendo in territorio positivo: Parigi è salita dell’1,26%, Francoforte dello 0,85% e Londra dello 0,49 per cento. Anche in questo caso le banche hanno avuto il ruolo più rilevante (+4,8% l’indice settoriale dello Stoxx 600), seguite dalle utility (+2,8%) che hanno tratto vantaggio soprattutto dalla decisione della Corte costituzionale tedesca di accogliere i ricorsi presentati dai gruppi Eon, Rwe e Vattenfall che chiedevano un indennizzo adeguato in seguito alla decisione del governo di Berlino di chiudere gradualmente le centrali nucleari dopo il disastro di Fukushima.

Sullo sfondo però resta più che mai viva l’attesa per la riunione della Bce in programma domani a Francoforte, dalla quale ci si attende l’annuncio di nuove mosse. «Tutti si aspettano che l’estensione del Qe per ulteriori 6 mesi e il risultato del referendum italiano non ha fatto che rafforzare le argomentazioni a sostegno del prolungamento», sottolinea Patrick O’ Donnell, gestore di Aberdeen Am, avvertendo però che «un consenso tanto vasto significa che la Bce è sotto pressione e che la comunicazione deve essere puntuale». «Se Draghi dovesse esitare anche di poco - prosegue O’ Donnell - metterebbe seriamente a repentaglio la ricapitalizzazione di Monte dei Paschi ora in fase iniziale e a sua volta creerebbe problemi per le banche italiane ed il mercato obbligazionario in generale»: ancora una volta il futuro sembra dipendere da ogni azione o parola dell’Eurotower.

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