Mondo

Erdogan «blinda» la svolta autocratica

  • Abbonati
  • Accedi
riforma costituzionale in parlamento

Erdogan «blinda» la svolta autocratica

Prima Erdogan ha chiesto «oro alla patria» e di convertire i depositi in valuta in lire turche per sostenere una moneta che affonda, poi - ieri - ha messo a segno il suo colpo da maestro presentando in Parlamento la riforma costituzionale: abolita la figura del primo ministro, il presidente, affiancato da due vice, avrà poteri sempre più ampi e pervasivi sulla politica ma anche sulla vita quotidiana dei suoi concittadini.
La riforma dovrà passare con due terzi dei voti e poi essere sottoposta a referendum, forse già a marzo: dato il clima che si vive in Turchia, quello di un “uomo solo al comando”, al momento appare improbabile che Erdogan faccia la fine del britannico Cameron con la Brexit o dell'italiano Renzi con la riforma del Senato. Inoltre in Parlamento il partito di maggioranza Akp conta su 320 deputati e l'alleato Mhp, i Lupi Grigi dell'estrema desta, su altri quaranta: un numero di consensi sufficiente a superare la soglia dei 330 voti necessari.

Nonostante le difficoltà economiche e finanziarie di un Paese che ha visto la valuta perdere in un anno il 18% del valore e diminuire del 33% le presenze del turismo straniero, con una revisione al ribasso del Pil da +4 a 3,2%, Erdogan sta mettendo politicamente a profitto un anno che poteva essergli fatale. Nell'era seguita al fallito colpo di stato del 15 luglio scorso prima ha fatto fuori migliaia di funzionari pubblici, militari, poliziotti, magistrati e giornalisti, sospettati di essere seguaci dell'imam Fetullah Gulen, e adesso prova a portare a casa il risultato che gli preme di più: una repubblica presidenziale di cui lui dovrà essere il capo fino al 2023, anno del centenario dello stato fondato da Kemal Ataturk sulle ceneri dell'Impero Ottomano.La concreta possibilità che Erdogan, rieletto nel 2014, ottenga ancora più poteri di quelli di cui gode oggi, preoccupa parte dell'opinione pubblica turca e occidentale, così come i partiti di opposizione, i filo curdi dell'Hdp e i kemalisti del Chp, che denunciano gli eccessi autoritari di Erdogan, soprattutto dopo il fallito golpe. Il presidente, che controlla magistratura polizia ed esercito, ha fatto mettere in carcere una dozzina di deputati curdi tra cui il leader del partito Salhattin Demirtas. «Non si può fare una nuova costituzione nella cucina di un solo partito», ha detto il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu. «La riforma - ha aggiunto il capo del partito repubblicano - minaccia una tradizione parlamentare di 140 anni e anche l'eredità delle riforme realizzate dopo la caduta dell'Impero Ottomano». Il rischio è quello di una “sultanizzazione” della politica turca.

Ma una parte altrettanto importante e consistente della classe politica e dell'opinione pubblica conservatrice e ipernazionalista del Paese, forse anche eccitata dalle avventure militari in Siria e in Iraq che rinverdiscono nella retorica le conquiste ottomane, sostiene invece che un sistema fortemente presidenzialista è necessario per garantire la sicurezza della Turchia sotto attacco del terrorismo di matrice islamista e separatista curdo, e per affrontare la crisi economica. «Il sistema presidenzialista permetterà di mettere fine alla stagione delle coalizioni di governo e dare alla Turchia un esecutivo forte», ha affermato il primo ministro Binali Yildirim. Peraltro l'Akp stravince tutte le elezioni dal 2002 e soltanto nel giugno 2015 ha perso la maggioranza assoluta per poi riconquistarla pochi mesi dopo alle elezioni anticipate del 31 ottobre.
Per ottenere la maggioranza di due terzi alla Camera (formata da 550 deputati) l'Akp, il partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan, ha raggiunto un accordo con la formazione di destra Mhp, un chiaro segnale che da diverso tempo il presidente turco, oltre agli appelli all'Islam, sta puntando sulle corde più sensibili dei turchi, sfruttando i sentimenti nazionalisti sia per reprimere, oltre al terrorismo, la legittima rappresentanza politica curda che per amalgamare intorno alla sua figura i consensi della Turchia profonda e conservatrice.

La svolta autocratica era prevedibile. Il sistema politico Akp modellato su schemi occidentali era un mezzo, non uno scopo: «La democrazia è un tram, va avanti fino a quando vogliamo noi e poi scendiamo», ha detto una volta Erdogan. Ed è quello che sta puntualmente accadendo in Turchia.

© Riproduzione riservata