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Le ultime ore di Aleppo, caduta e morte di una città

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la guerra in siria

Le ultime ore di Aleppo, caduta e morte di una città

«Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta»: così Salvatore Quasimodo descriveva la distruzione di Milano sotto i bombardamenti nel 1943. Le stesse parole potrebbero valere oggi per Aleppo, dove l'esercito di Assad, appoggiato dai russi e dalle milizie sciite libanesi Hezbollah potrebbe impadronirsi completamente della città forse anche nelle prossime ore.
L'assedio di Aleppo è cominciato nel luglio del 2012: allora si poteva ancora salire sull'antica cittadella, la Qalat, nonostante già divampassero gli scontri tra i lealisti e i ribelli. In quell’estate dall'alto delle mura delle cittadella vidi per l’ultima volta Aleppo quasi intatta. L’anno dopo la Qalat era quasi distrutta, la città piegata in due, gli antichi mercati coperti sbriciolati e in ottobre venne fatto saltare il minareto della moschea degli Ommayadi. Mille anni di storia frantumati. Milioni di persone rimasero intrappolate in un sorta di incubo feroce nelle battaglie tra le forze del regime, le milizie islamiche e l’Esercito siriano di liberazione (Els).

Aleppo nelle mani dei lealisti

Dopo quattro anni di scontri e massacri, migliaia di morti e parti della città completamente devastate, Aleppo si ritrova divisa in due: la zona orientale, soltanto per il due per cento ancora controllata dai ribelli, quella occidentale dal regime siriano. L'esercito siriano, che a differenza dei ribelli può contare sui bombardamenti aerei, ha cominciato da tempo l'assedio della parte orientale in collaborazione con gli alleati russi entrati in campo nel settembre 2015 e ha iniziato ad applicare la tattica nota come “starve or submit”, che il New York Times ha descritto così: «Rendere la vita intollerabile e la morte probabile. Aprire una via di fuga oppure offrire un accordo a quelli che se ne vanno o che si arrendono. Lasciare che se ne vadano, uno a uno, oppure uccidere chiunque resti».

La riconquista totale di Aleppo da parte delle forze di Assad potrebbe essere un punto di svolta molto importante per la guerra in Siria e un colpo durissimo per i ribelli che combattono il regime di Damasco. Non significa comunque la fine della guerra: i ribelli sono ancora presenti nel nord-ovest, nell’area strategica di Idlib, e nel sud del Paese. Nel nord, al confine con la Turchia, ci sono i curdi (presenti pure ad Aleppo) che ormai hanno stabilito una sorta di autogoverno contrastato duramente dall’esercito turco di Erdogan. A est lo Stato Islamico controlla ancora dei territori e nonostante le sconfitte militari subite nell'ultimo anno ha riconquistato Palmira e rimane arroccato a Raqqa.

Con una missiva Papa Bergoglio ha chiesto al presidente siriano Bashar Assad di porre fine alle violenze e risolvere pacificamente le ostilità ma il problema di garantire ai civili ancora intrappolati ad Aleppo est un passaggio sicuro è legato a una questione politica molto delicata su cui Stati Uniti e Russia non trovano un accordo. Cosa fare dei miliziani legati ad Al Qaeda che combattono in città Aleppo? Secondo l'Onu sarebbero circa il 10% degli 8mila miliziani rimasti, i ribelli dicono molti di meno, il governo di Damasco afferma che sono molti di più.

In queste ore la diplomazia russa incontra quella turca, gli americani vogliono negoziare con Mosca, le Nazioni Unite cercano una mediazione ma la città di Aleppo è morta, distrutta. Una tragedia dei nostri tempi cui per quattro anni siamo rimasti in gran parte indifferenti. Come l'assedio dei mille giorni di Sarajevo dal 1992 al 1995, quello di Aleppo segnerà una ferita difficile da rimarginare per la Siria ma anche per la comunità internazionale: la morte di una città in questi casi coincide con quella della civiltà.

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