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Una Fed leggermente meno colomba

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L'Analisi|USA

Una Fed leggermente meno colomba

La Federal reserve cambia rotta. La banca centrale americana non ha soltanto aumentato i tassi ufficiali, di 0,25 punti percentuali, portandoli nel corridoio compreso tra lo 0,50% e lo 0,75%. Ha anche modificato il percorso previsto per l'andamento futuro del costo del credito: per la prima volta da diversi anni, è stato rivisto leggermente al rialzo. La politica monetaria sarà dunque un po' più restrittiva di quanto immaginato a settembre.

Non è una virata brusca. A fine 2017 i tassi potranno essere - secondo le previsioni dei governatori - compresi tra l'1,25% e l'1,50% (1.38% la media delle indicazioni, 1,375% la mediana) mentre a settembre si prevedeva di tenerli tra l'1% e l'1,25%: ci potrà essere dunque un rialzo in più rispetto a quanto finora previsto. A giugno scorso, però, il Fomc - il Federal Open Market Committee, il comitato di politica monetaria - aveva un orientamento ancora più restrittivo e puntava per fine anno a un tasso compreso tra l'1,50% e l'1,75%.

Per il 2018, invece, le indicazioni sono diventate univoche. La media delle previsioni dei 17 governatori punta ancora, come a giugno, a tassi compresi tra il 2% e il 2,25% - e da questo punto di vista la Fed starebbe semplicemente immaginando di anticipare un rialzo dei tassi. La mediana, più corretta, segnala lo stesso livello, ma a settembre puntava a tassi un po' più bassi, tra l'1,75% e il 2%. Si può dire dunque che si è rafforzata l'idea di effettuare due rialzi nel 2018. Più brusca la stretta del 2019, quando i tassi potranno sfiorare il 3% (dal 2,5-2,75% di giugno), che ora è anche l'obiettivo di lungo periodo (contro il 2,75%-3% mediano di giugno).

La Fed resta dunque molto prudente. Forse troppo. Le proiezioni macroeconomiche segnalano che alla fine del 2017 l'indice di inflazione preferito dalla banca centrale - quello sui consumi personali, core - potrà già raggiungere l'1,9%, un livello molto vicino all'obiettivo del 2% che potrà essere centrato a fine 2018 (quando i tassi reali, con un costo del credito nominale del 2-2,25%, saranno dunque pari allo 0-0,25%). Anche il tono nel comunicato resta molto cauto.

Non si può dunque parlare di una Fed “falco”. Anzi, sorge la domanda se non stia correndo il rischio di dover poi rincorrere l'inflazione. La banca centrale però non ha voluto dar troppa enfasi a quanto stanno raccontando oggi i mercati, che hanno modificato le loro aspettative sull'andamento dell'economia Usa sulla base del programma del presidente eletto Donald Trump. Le proiezioni sul Pil sono state solo marginalmente riviste per il 2017 (ora si punta al +2,1%, contro il 2% di settembre) e così quelle sull'inflazione. Solo alcuni governatori, ha spiegato, hanno voluto incorporare nelle proprie previsioni prospettive leggermente migliori a causa della nuova, e per ora solo annunciata, politica fiscale.

In assenza di dettagli su cosa vorrà davvero fare l'Amministrazione, e nel timore che i mercati stiano irrigidendo troppo le condizioni finanziarie, la Fed ha evidentemente ritenuto di non poter dare segnali più aggressivi. I governatori, ha spiegato in conferenza stampa la presidente Janet Yellen - hanno discusso delle reazioni dei mercati concludendo che c'è ancora «molta incertenza su come potranno cambiare le politiche economiche e che effetto potranno avere sull'economia».

«Cambiamenti nella politica fiscale o in altre politiche economiche - ha quindi ammesso Yellen - potrebbero potenzialmente modificare le prospettive economiche. Naturalmente è troppo presto per sapere come queste politiche saranno introdotte. Inoltre, cambiamenti nella politica fiscale sono solo uno dei tanti fattori che possono influenzare le prospettive e l'andamento più appropriato per la politica monetaria».

La Fed non ha dunque paura di un surriscaldamento dell'economia. «Abbiamo tempo», ha detto Yellen, per valutare le nuove politiche. La banca centrale ritiene inoltre che il tasso neutrale sia molto basso a causa della lenta crescita della produttività. Solo quanto questo fattore inizierà ad accelerare - è allora l'idea della Fed - la politica monetaria potrà cambiare marcia.

Una politica fiscale che spinga la produttività «sarebbe desiderabile», allora; ma Yellen sa che l'Amministrazione e il Congresso hanno anche altri obiettivi. Al punto da spingersi a richiamare l'attenzione sulla necessità di tener conto dell'andamento del rapporto debito/Pil, alto anche a causa - ha aggiunto - dell'invecchiamento della popolazione e ha sottolineato che il livello di disoccupazione, al di sotto del 5%, non richiede al momento un forte stimolo fiscale.

Non è stata questa l'unica occasione in cui Yellen si è spinta a dare “consigli” alla nuova Amministrazione. Anche sulla questione della deregulation finanziaria - per la quale ci sono già contatti con il team di transizione alla Casa Bianca - ha auspicato che le nuove regole tengano conto del profilo di rischio sistemico che offrono le grandi imprese finanziarie. «Credo che ci sia un ampio accordo», ha aggiunto, sul fatto che non debbano più esistere aziende troppo grandi per fallire e che i fallimenti avvengano dunque in modo ordinato.

Yellen è ben consapevole della distanza che separa il suo approccio da quello di Donald Trump e ha ammesso esplicitamente che potrebbe non essere confermata come presidente alla scadenza, nel 2018. «Potrei però restare come componente del board», ha però aggiunto: per questa carica, il suo mandato dura fino al 2024. Sarebbe la prima volta: mai un presidente della Fed è rimasto nel board alla fine del suo mandato alla guida della banca centrale.

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