
LONDRA - Il successo dell'economia britannica post Brexit dipende dall’assenza di tariffe e barriere commerciali negli scambi con i Paesi Ue: questo il monito della Cbi, la Confindustria britannica, in un rapporto pubblicato oggi dopo una dettagliata consultazione con migliaia di imprese in ogni settore e di ogni dimensione.
«Lasciare la Ue sarà molto complesso, e tutti i settori dell’economia stanno delineando le loro priorità per massimizzare le possibilità di successo fuori dall’Unione - ha detto Carolyn Fairbarn, direttore generale della Cbi. – Il Governo dovrà avere un approccio integrato e complessivo per non penalizzare alcun settore, perchè l’economia britannica è sempre più interconnessa». Brexit avrà un impatto negativo sull’economia britannica se il Governo non avrà un “approccio integrato” nei negoziati: trascurare un settore o privilegiarne un altro porterà infatti a un effetto domino deleterio per tutti.
Il sondaggio tra imprese, il più approfondito dal referendum a oggi, ha rivelato che ogni settore ha priorità diverse. Il settore edilizio, ad esempio, teme tariffe onerose sull’import di materiali e difficoltà a reperire personale. Banche e studi legali, ma anche ristoranti e alberghi, vogliono continuare a poter assumere dipendenti stranieri con le qualifiche necessarie. Le compagnie aeree e il settore turistico chiedono garanzie sulla facilità di movimento tra Paesi. Il settore agricolo teme la fine dei sussidi Ue e la manzanza di manodopera. Le industrie creative vogliono chiarezza sul rispetto della proprietà intellettuale e dei diritti d’autore. E così via. Ci sono però richieste comuni e problemi condivisi da tutti i settori, come la speranza di evitare tariffe e barriere commerciali e la speranza di una transizione graduale e ordinata che eviti interruzioni delle supply chain produttive.
Il rapporto dela Cbi identifica quindi sei priorità assolute per garantire il successo dell’economia britannica post Brexit: l’assenza di tariffe negli scambi con Paesi Ue; regole chiare al più presto; un sistema di immigrazione che permetta alle imprese di assumere dall’estero il personale qualificato di cui hanno bisogno; una maggiore attenzione ai rapporti economici con Paesi extra-Ue; la tutela dei benefici economici e sociali dei finanziamenti Ue; un’uscita graduale dalla Ue che eviti cambiamenti repentini, quello che la Cbi chiama «l’effetto precipizio».
«Le imprese di ogni dimensione vogliono capire quanto sarà facile in futuro per loro commerciare con la Ue, che resta il nostro maggiore mercato, - ha detto la Fairbarn. – Hanno bisogno di sapere quali regole dovranno rispettare e come potranno avere accesso a personale qualificato, soprattutto in settori dove ci sono già carenze».
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