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Così l’Europa ha «importato» il terrorismo jihadista

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L'Analisi|l’occidente vulnerabile

Così l’Europa ha «importato» il terrorismo jihadista

Quando si subisce una sconfitta si diventa più vulnerabili, dentro e fuori. L’Occidente, gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati come la Turchia, membro della Nato, hanno subito indirettamente ad Aleppo una sconfitta epocale da parte di Mosca, Teheran e Damasco.

Anche Erdogan deve piegare la testa davanti a Putin. I jihadisti ora si vendicano di questa disfatta nell’aria da tempo colpendo quelli che erano un tempo i loro alleati contro Assad, europei compresi.

Perché non sconfiggiamo l’Isis se non assai lentamente e il terrorismo promette di durare a lungo? La risposta è piuttosto brutale: siamo stati, e forse siamo ancora, dalla parte sbagliata. Un conto doloroso lo paga anche la Germania della cancelliera Angela Merkel, che aprì generosamente le braccia ai migranti per poi essere costretta a fare marcia indietro e firmare, insieme all’Unione europea, un accordo con l’ambigua Turchia di Erdogan, il Paese che fino a ieri ha appoggiato i ribelli siriani per abbattere Assad, contando sui finanziamenti delle monarchie del Golfo e il via libera degli Stati Uniti ma anche della Francia. Ricordiamo che il 6 luglio 2011 l’ambasciatore Usa a Damasco Ford passeggiava con i ribelli di Hama, imitato il giorno seguente dal suo collega francese: un segnale inequivocabile ai jihadisti che Damasco era il “nemico perfetto”, da colpire con la benedizione dell’Occidente. In contemporanea la Nato bombardava la Libia di Gheddafi minacciando di frantumare i terminali dell’Eni se l’Italia non si fosse adeguata a eliminare il suo più importante alleato nel Mediterraneo.

L’idea era che il regime di Assad, monopolizzato da un clan alauita, fosse al termine: gli Usa e le ex potenze coloniali, in affari lucrosi con le monarchie del Golfo, cavalcarono le primavere arabe dove predominavano i movimenti islamisti. L’apparato di propaganda dei nemici di Damasco soverchiava nettamente quello del regime appoggiato da Mosca e Teheran. Fu così che in Siria una legittima protesta popolare contro un governo brutale venne trasformata in una guerra per procura che ha fatto 400mila morti e milioni di profughi.

Lo schema replicava quello del 1979 in Afghanistan per colpire l’Urss, il nemico comunista. La direzione allora era americana, i soldi sauditi, la retrovia ai mujaheddin fornita dal Pakistan. Nel caso della Siria ai finanziamenti sauditi si aggiungevano quelli del Qatar, la retrovia era la Turchia dove passavano i jihadisti, la mente era l’ex segretario di Stato Usa Hillary Clinton che “guidando da dietro” le operazioni pensava di eliminare un alleato di Mosca e mettere sotto pressione l’Iran sciita, considerato il peggiore nemico di Israele e delle monarchie del Golfo. In sintesi: soldi arabi, logistica di Erdogan e truppe jihadiste, un Afghanistan alle porte dell’Europa. Ma non si scherza con il fuoco: l’ambasciatore Usa Chris Stevens ci rimise la vita a Bengasi l’11-9-2012 cercando di reclutare gli estremisti libici per far fuori Assad.

Come è andata a finire? In un disastro. L’assedio di Aleppo è stato il capitolo più mediatizzato quando ci si è accorti che la guerra era perduta. Un fiasco peggiore dell’Iraq perché ha coinvolto i jihadisti di tutto il mondo, compresi quelli europei, mentre sul continente arrivavano milioni di migranti: una percentuale piccola ma significativa di musulmani, ispirata dall’Isis e dal jihadismo diffuso, vuole vendicarsi. Non è un caso che la nuova ondata terrorista sia cominciata dopo che nel 2013 Obama rinunciò a bombardare il regime siriano La stessa risoluzione Onu per inviare osservatori ad Aleppo nasconde sotto una motivazione “umanitaria” l’alibi per gli occidentali a una disfatta militare e politica e ai loro calcoli sbagliati.

Anche la guerra all’Isis maschera un fallimento. Nel 2014 quando il Califfato ha conquistato Mosul gli americani non mossero un dito e ora sono costretti a sostenere un esercito iracheno più fedele a Teheran che non a Washington mentre sia gli Stati Uniti che la Russia hanno venduto a Erdogan la pelle dei curdi siriani, i veri resistenti all’Isis, per evitare un’umiliazione della Turchia, il grande sconfitto.

È possibile combattere il jihadismo con alleati e governi che hanno provato a manovrarlo? Evidentemente no. Per questo i partiti populisti europei hanno l’opportunità di presentare Putin come un portabandiera dell’”uomo bianco” e i loro stessi governi come complici di una politica che ha aumentato l’insicurezza e importato il terrorismo. Ma quelle che sembrano facili scorciatoie securitarie rischiano di trascinare l’Europa come il Medio Oriente in un conflitto senza fine. La paura, qui ha ragione la Merkel, genera soltanto altra paura.

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