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Netanyahu, i rischi della dura reazione alla risoluzione dell’Onu

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L'Analisi|il commento

Netanyahu, i rischi della dura reazione alla risoluzione dell’Onu

In pochi giorni Bibi Netanyahu ha accusato di tradimento e complotto il presidente degli Stati Uniti in carica; ha chiesto aiuto a quello eletto, violando brutalmente la regola d’oro secondo la quale negli Stati Uniti governa un solo presidente alla volta; ha convocato, rimproverandoli, gli ambasciatori di tutte le potenze mondiali; ha minacciato di rappresaglie l’Onu e l’umanità intera.

Tutto questo per cosa? Per la risoluzione numero 2334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvato tre giorni fa con l’astensione degli Stati Uniti: tradizionalmente gli Usa pongono il veto a qualsiasi risoluzione che riguardi Israele, impedendone l’applicazione. In questo caso, come nella gran parte dei precedenti, è difficile definire il significato di “applicazione” della 2334. Il documento è una semplice condanna che non impone alcun atto concreto a chi l’ha votata e che in nessun modo ridarà vita a un processo di pace più morto che congelato fra israeliani e palestinesi.

Israele non si ferma, nuove case

Il testo della risoluzione
Nel testo viene sottolineato che le colonie ebraiche nei territori palestinesi occupati sono una «flagrante violazione della legge internazionale». Ma non è una novità diplomatica: è l’ennesima enunciazione lapalissiana della Quarta convenzione di Ginevra la quale da decenni stabilisce che una potenza occupante non può colonizzare i territori conquistati militarmente ad altri. È tutto un già visto, a partire dalla risoluzione 242 del 1967 e 338 del ’73.

Il rischio per Israele
Come tradizione, Israele ha deciso di respingere anche questa ultima risoluzione e a causa di questo lo stato ebraico non subirà sanzioni né verrà isolato dalla comunità internazionale. Piuttosto è Bibi Netanyahu nei suoi comportamenti minacciosi e arroganti che rischia come non mai di isolare Israele dal mondo.

Perché dunque tutto questo?
Solo negli Stati Uniti l’Aipac, la lobby che cura gli interessi di Israele in Campidoglio, e i repubblicani, hanno messo in piedi un’offensiva retorica piena di bugie. Una specie di reazione alla lesa maestà. Tutti gli altri, anche i paesi che hanno votato si alla risoluzione, non intendono fare altro se con condannare una volta di più l’evidenza dell’illegalità delle colonie ebraiche nei territori palestinesi.

L’attivismo del premier
L’esagerato attivismo di Betanyahu - che pensa di poter boicottare americani, russi, cinesi, europei e asiatici – ha poco a che vedere con l’inesistente processo di pace con i palestinesi, e molto invece con il quadro politico interno israeliano. Maestro della retorica, il premier israeliano ha cercato di presentarsi sulla scena diplomatica come il sostenitore della formula dei due stati (l’israeliano e il palestinese), uno accanto all’altro in pace e mutua sicurezza. Ma sulla scena domestica il suo governo di destra-centro nel quale dominano i falchi del Likud, il suo partito, e i nazional-religiosi di Naftali Bennett, esiste fino a che non si parla della formula dei due stati. Bennett e molti altri nell’esecutivo sono dichiaratamente contrari all’idea di uno stato palestinese, quanto Hamas lo è a quella di Israele.

Il difficile equilibrio interno
In questo esecutivo come nei precedenti, tutti con maggioranze sul filo di un pugno di voti, per conservare il potere Netanyahu ha cercato di realizzare un impossibile gioco di prestigio: far sparire i palestinesi dalla Palestina. Cioè non parlare della loro esistenza se non per condannarne le azioni, fingendo di ignorare le cause di quelle azioni spesso violente. Ai pochi sulla scena internazionale che in questi ultimi anni ricordavano quanto il conflitto israelo-palestinese non fosse risolto ma solo congelato dai conflitti più sanguinosi nella regione, Netanyahu ha sempre risposto con la stessa durezza: minaccioso come se venisse ogni volta messa in discussione l’esistenza di Israele.

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