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Bulgaria, Romania, Moldavia: venti filo-russi in Europa…

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IL RITORNO DI MOSCA

Bulgaria, Romania, Moldavia: venti filo-russi in Europa orientale

Negli ultimi mesi la mappa dell’Europa orientale è cambiata, si può leggere in un altro modo. Non sono cambiati i confini come in Ucraina, teatro della guerra civile e della tensione tra i Paesi Nato e la Russia che nel 2014 annette la Crimea e da allora appoggia i separatisti del Donbass. Sono cambiati gli umori: tre paesi dell’ex blocco sovietico o si riavvicinano a Mosca o ignorano l’Europa.

Non sono decisioni calate dall’alto ma i risultati di elezioni che non hanno avuto grande eco in un’Europa occidentale ferita da Brexit stupita dalla vittoria di Donald Trump.

Negli stessi giorni in cui l’America eleggeva un imprenditore e personaggio tv nell’Est Europa conquistavano il potere due presidenti della Repubblica filorussi e anti-Ue: in Moldavia Igor Dodon, in Bulgaria Rumen Radev, ex capo dell’Aeronautica appoggiato dai socialisti. Un mese dopo, l’11 dicembre, in Romania i socialdemocratici vincevano le elezioni politiche con il 46% dei consensi, i liberali rimanevano fermi al 25.

Così la notizia diventa la mappa qui in basso: tre paesi di quella Unione Sovietica tanto rimpianta da Putin che sta per celebrare il centenario della Rivoluzione bolscevica del 1917, sembrano tornare indietro nel tempo, più Russia e meno Europa. Tre Paesi che confinano con l’Ucraina in cui vincono partiti di una sinistra che guarda a est o ignora quell’Ue da cui ha tratto molti vantaggi.

LA MAPPA

Nel caso di Moldavia e Bulgaria i presidenti della Repubblica esercitano per lo più poteri di rappresentanza, è la Romania che appare come un potenziale e più problematico cavallo di Troia. Qui la campagna elettorale si è giocata sui tagli alle tasse e innalzamento delle pensioni non sul nazionalismo, sostengono gli osservatori, e l’Unione europea a cui la Romania ha aderito nel 2007 è stata semplicemente ignorata. Qui da maggio è operativo un sistema antimissile americano che ha fatto «irritare» il Cremlino, come si scrive in questi casi.

In questi ultimi giorni a Bucarest ha fatto scalpore e creato una crisi politica e istituzionale la decisione del presidente liberale Klaus Iohannis di porre il veto sulla nomina a primo ministro di Sevil Shaideh, 52 anni, donna, musulmana, molto vicina a Liviu Dragnea, leader dei socialdemocratici che ha vinto le elezioni ma non può diventare premier perché condannato per frode elettorale anche se la sentenza è sospesa.

Sevil Shaideh è anche tartara, fa parte cioè della minoranza di origine turca in un paese a maggioranza cristiana ortodossa. Chissà se Iohannis ha pensato al proverbio «Gratta un russo e trovi un tartaro» (premessa a «Il Grande Gioco» di Peter Hopkirk edito in Italia da Adelphi). Il dubbio sorge visto che il presidente non ha motivato granché il rifiuto di nominare Shaideh: «Ho valutato attentamente i pro e i contro» si è limitato a dire. Fra i contro pare vi sia anche il marito della signora Shaideh: un gruppo di giornalisti investigativi rumeni ha costituito il Rise Project e scoperto che il marito di orgine siriana ha lavorato per venti anni al ministero dell’Agricoltura di Damasco e ha ottenuto la cittadinanza rumena solo nel 2015. Soprattutto, è un sostenitore del presidente siriano Bashar al-Assad, grande alleato di Putin in Medio Oriente.

I Balcani sono instabili, i Baltici sentono il fiato sul collo dell’aviazione russa: l’indiscrezione secondo cui la richiesta di bocciare la signora Savileh sia arrivata direttamente da Washington non stupisce affatto.

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