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Così Mosca ha rimesso in moto la diplomazia mediorientale

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una svolta in siria?

Così Mosca ha rimesso in moto la diplomazia mediorientale

Putin ha dato al ministro della Difesa Serghej Shoigu (a destra, di fronte a Serghej Lavrov) l’ordine di ridurre la presenza in Siria
Putin ha dato al ministro della Difesa Serghej Shoigu (a destra, di fronte a Serghej Lavrov) l’ordine di ridurre la presenza in Siria

Il messaggio di Putin è chiaro: la Russia non vuole restare in forze sul campo di battaglia siriano più di quanto necessario, anche se naturalmente continuerà a difendere con grande attenzione il bottino strategico di questa guerra, ovvero le basi militari, tra cui l’unica aerea di Mosca nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La Russia non dimentica la lezione dell'Afghanistan, quando l’Unione Sovietica restò inchiodata negli anni Ottanta dalla guerriglia dei mujaheddin fino al ritiro nel 1989.

La presenza permanente della Russia in Siria è salvaguardata dall’accordo di ottobre con il regime di Bashar Assad, che quindi non viene messo in discussione nei negoziati con l’opposizione. Mosca inoltre ha sottolineato che la tregua verrà garantita dall’accordo raggiunto con la Turchia e l’Iran. Teheran sembra in queste ore defilata ma in realtà russi e iraniani in questo momento, e ancora per un certo periodo, condividono obiettivi comuni: il mantenimento del regime alauita con il suo apparato militare e la distruzione dei gruppi jihadisti sunniti che sono per entrambi una minaccia alla sicurezza,

La posizione iraniana lascia in primo piano Mosca anche per motivi di opportunità. La Turchia di Erdogan, potenza della Nato, dopo anni un cui è schierata contro Assad, ha rimediato alla sua débâcle strategica, prima e dopo la caduta di Aleppo, attraverso l’intesa con la Russia e l’Iran, grande potenza sciita. Gli iraniani sono abbastanza abili da capire che per Erdogan sarà difficile far digerire la sua svolta al resto del mondo sunnita di cui voleva essere il leader in Medio Oriente con l’appoggio delle monarchie del Golfo e dei gruppi islamisti, dai radicali ai Fratelli Musulmani. Inoltre Teheran deve negoziare con la presenza militare turca nell’area di Mosul in Iraq e ha avviato contatti per attenuare le tensioni con l’Arabia Saudita, il rivale nel Golfo impantanato nella guerra in Yemen contro gli Houthi sciiti. Per darsi un tono da leader regionale adesso Erdogan chiede il ritiro dalla Siria degli Hezbollah libanesi, le milizie sciite che sono state decisive per la sopravvivenza del regime fino all’intervento russo. Alza il prezzo della sua collaborazione perché deve in primo luogo occuparsi di neutralizzare i combattenti jihadisti che aveva appoggiato contro Assad.

La diplomazia mediorientale, con l’intervento della Russia, si è rimessa in moto freneticamente ma ogni mossa si svolge su una scacchiera complicata e insidiosa: la guerra contro il Califfato continua e chiunque qui può ribaltare un tavolo insanguinato da cinque anni di massacri. Ma l’assenza degli americani e degli europei in queste ore appare quasi fragorosa.

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