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Le pillole avvelenate che Obama lascia a Trump

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L'Analisi|il commento

Le pillole avvelenate che Obama lascia a Trump

C’è stata una inattesa caduta di stile di Barack Obama proprio al crepuscolo della sua amministrazione: ieri il presidente americano ha deciso una dura ritorsione contro Vladimir Putin per attività di “hackeraggio politico”; mercoledì ha autorizzato un discorso esplosivo contro Israele e la settimana scorsa un voto controverso all’Onu; giorni fa si è prodotto in una roboante rivendicazione, inconsueta per il suo carattere: «Se avessi corso io contro Trump, avrei vinto». Obama, che durante il suo mandato aveva sempre preferito reazioni misurate anche davanti a provocazioni, ha preso negli ultimi giorni del suo mandato decisioni impulsive, lasciando allo stesso tempo al suo successore una serie di “pillole avvelenate” per le relazioni in Medio Oriente e per quelle con la Russia.

Cosa che non facilita una transizione morbida per il passaggio dei poteri e che evidenzia il denominatore comune di un “regolamento dei conti” contro due avversari politici difficili come Bibi Netanyahu e Vladimir Putin, che Obama proprio non sopportava anche sul piano personale. Sia Putin che Nethanyahu tuttavia, sembrano essere lo stesso un passo avanti rispetto a Obama.

Partiamo da Putin. Non è un caso che il leader russo abbia scelto di annunciare proprio ieri un cessate il fuoco in Siria, concordato con il governo siriano, con la Turchia e con alcuni gruppi di ribelli. Il grande assente sono proprio gli Stati Uniti e nella storia resterà questo messaggio: nel giorno in cui l’America adottava inutili sanzioni contro Mosca, la Russia cristallizzava l’irrilevanza e il fallimento di Obama in politica estera.

Lo stesso vale per Israele. Non c’è stata reazione che non abbia messo in evidenza l’inutilità della prima astensione americana per un voto all’Onu contro Israele e del discorso di giovedì del segretario di Stato John Kerry. Discorso che ha avuto tuttavia un risultato contrario a quello desiderato: invece che rafforzare l’idea di una soluzione per la creazione di due Stati, il discorso di Kerry è stato considerato nella regione come un’orazione funebre per la soluzione con due Stati. La tesi secondo cui sul piano storico era importante per Obama lasciare un’eredità chiara della sua visione politica prima dell’arrivo di un leader imprevedibile come Donald Trump alla Casa Bianca, non giustifica azioni che un nostro interlocutore a Washington ha definito «disperate».

L’intrusione di Mosca nei server del partito democratico è un fatto grave. Ma come sappiamo Washington con la Nsa cerca di fare lo stesso. E se Obama avesse potuto destabilizzare Putin sul piano interno, lo avrebbe fatto. Aggiungiamo che il partito democratico era stato avvertito dall’Fbi di possibili intrusioni russe già nel 2015. La reazione del partito ci fu soltanto un anno dopo, quando era ormai troppo tardi. Fanno bene repubblicani e democratici e condurre un’inchiesta congiunta in Parlamento, e le sanzioni di ieri hanno una loro ragione: 35 diplomatici russi espulsi da Washington e da San Francisco, due impianti russi in Maryland e a New York chiusi, sanzioni per i servizi russi Gru e Fsb e per 4 funzionari, sanzioni per tre aziende che hanno fornito i materiali e per due hacker di cui sono state distribuite le foto. Ma il tutto avrebbe potuto essere fatto due mesi fa quando gran parte delle informazioni erano già note. Non a ridosso del passaggio dei poteri.

Sappiamo che Trump vuole recuperare un rapporto con Mosca, risolvere la questione ucraina e che su questo c’è un obiettivo di interesse anche italiano: invitare Mosca al G-8 di Taormina. Per la questione mediorientale Trump voleva riprendere subito il dialogo fra le parti, con l’ambizioso obiettivo di risolvere la crisi. Ma non dimentichiamo le elezioni del 1980. Anche quell’anno un democratico, Jimmy Carter, le perse per l’intrusione nelle elezioni americane del governo di Teheran che fomentava la crisi degli ostaggi. Come Trump contro Hillary Clinton, contro Jimmy Carter vinse un presidente repubblicano, Ronald Reagan. E dopo 14 lunghi mesi di detenzione, di maldestri negoziati e di un tentativo militare fallito, gli ostaggi furono rilasciati il 20 gennaio del 1981, proprio il giorno in cui il nuovo presidente giurò fedeltà alla Costituzione.

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