Mondo

Tietmeyer e quei dubbi sull’Italia e l’euro

  • Abbonati
  • Accedi
addii 1931-2016

Tietmeyer e quei dubbi sull’Italia e l’euro

(Reuters)
(Reuters)

In un tempo che sembra ormai preistorico, una volta al mese per diversi anni ho aspettato Hans Tietmeyer nella hall dell’Hotel Euler a Basilea. Aveva uno spirito tutto suo, trattenuto e perfino goffo, ma si sforzava ogni volta di essere cordiale, si avvicinava chiedendo di che cosa volessi parlare quel mese. Ogni volta glielo dicevo. E lui rispondeva senza dir nulla: «Come sa, mi interessa solo ascoltare le sue domande». Cercavo di proporgli una risposta aspettando un cenno e lui replicava con un sorriso privo di allegria.

Ho imparato col tempo che dovevo buttare lì una risposta provocatoria alle mie stesse domande, perché questo stimolava il suo istinto morale di raddrizzamento della logica altrui e lo costringeva a rivelarmi il suo punto di vista. Finimmo per rivederci spesso a Francoforte.

L’ultima volta era stato nella vecchia sede della Bce sulla Kaiserstrasse, dove avevo un appuntamento con Mario Draghi. Come ai vecchi tempi venne verso di me per convincermi che aveva avuto ragione, prevedendo che la politica non avrebbe capito le difficoltà della moneta unica. Dell’Italia aveva un’idea convenzionale, pensava che avesse una cultura condizionata dalla religione e dal bel tempo. Gli chiesi perché da quando era iniziata la crisi non avesse aperto bocca, proprio lui che era il più noto tra i fustigatori dei governi. Disse che non ne aveva diritto, non ricoprendo una funzione pubblica. Scoprii poco dopo che Tietmeyer era stato il presidente del consiglio di sorveglianza della HypoRE, l’equivalente tedesco del Monte dei Paschi, ma con un buco cinque volte più grande. Anche lui non aveva capito.

Godeva di enorme rispetto tra i suoi colleghi, nonostante la fama di negoziatore brutale. Aveva il vizio di puntare il dito indice contro l’interlocutore e di ripetere le proprie argomentazioni più e più volte. Perfino con Ciampi non fu un rapporto roseo, come si fa credere. Cattolico, nato in un paesino della Vestfalia, aveva una mentalità contadina, seguiva un ordine morale rigoroso che sintetizzava così: «Ciò che hai non ti appartiene, ma deve essere trasmesso ai posteri». Si considerava soprattutto un servitore del suo Paese. Con il cancelliere Helmut Kohl manteneva un rispetto gerarchico non solo formale, come verificai durante un incontro con entrambi al Kronpalais di Berlino. Il rapporto di fiducia era molto forte, consolidato dal fatto che Tietmeyer, iscritto alla Cdu, era stato autore nel 1982 del “dossier giallo” (o Lambsdorff-Papier) che provocò la rottura della coalizione social-liberale e la sostituzione di Helmut Schmidt con lo stesso Kohl. Del cancelliere diventò consigliere economico speciale e sherpa internazionale e fu bersaglio di un fallito attentato della Rote Armée Fraktion nel 1988.

Nominato ai vertici della Banca centrale tedesca, Tietmeyer entrò in un gioco di potere trentennale interno alla Bundesbank poco noto ma di eccezionale portata. La sedizione interna contro il presidente Karl Otto Pöhl da parte della cricca super-ortodossa di Helmut Schlesinger e poi la destituzione di quest’ultimo con lo stesso Tietmeyer nel 1993, portò la Bundesbank a non contrastare più esplicitamente l’unione monetaria europea. Nonostante la retorica ufficiale, Tietmeyer riteneva che la banca centrale non potesse opporsi alle decisioni del Parlamento, a cominciare da quella di dissolvere il marco tedesco nell’euro. Quando però Kohl si convinse, durante una passeggiata sul Reno insieme a Karl Lamers, a far entrare anche l’Italia nella moneta unica, Tietmeyer si oppose fino all’ultimo, cercando di rinviare l’ingresso della lira perfino con qualche trucco di mano. Non appena Tietmeyer lasciò la Bundesbank, il gruppo di Schlesinger, Otmar Issing, Jürgen Stark e le loro sponde accademiche hanno ripreso l’iniziativa, con le infelici conseguenze che hanno caratterizzato la storia europea degli ultimi anni.

© Riproduzione riservata