PARIGI
A tre mesi e mezzo dall’appuntamento con le urne del primo turno (il 23 aprile, con ballottaggio il 7 maggio), le presidenziali francesi sono già ricche di novità e di colpi di scena, che le stanno trasformando in un evento politico particolarmente innovativo e interessante. E altri potrebbero arrivare.
Per la prima volta dal dopoguerra un presidente in carica rinuncia a candidarsi alla propria successione, creando peraltro un po’ di confusione nella sua famiglia politica. Per la prima volta l’estrema destra è saldamente collocata, secondo tutti i sondaggi, al secondo posto (con il 22-24% dei consensi), anche se con poche possibilità di conquistare la vittoria finale (Jean-Marie Le Pen al ballottaggio nel 2002 non rappresenta un precedente per la sua eccezionalità).
Per la prima volta il tradizionale bipolarismo destra-sinistra viene preso a spallate non solo dal Front National di Marine Le Pen e dalla sinistra radicale (la “Francia ribelle”) guidata dall’ex socialista Jean-Luc Mélenchon (cui i sondaggi assegnano il 13-15% dei voti), ma da una “terza forza” neonata, il movimento “post-partitico” En Marche creato meno di un anno fa dall’ex ministro liberal dell’Economia Emmanuel Macron. Che tutti definivano «una bolla mediatica», «un’invenzione elitista e parigina destinata a schiantarsi sui primi scogli della campagna elettorale». E che invece sta pian piano consolidando una posizione appunto da terza forza (intorno al 20%).
E se i sondaggi possono sbagliare (com’è ampiamente dimostrato), lo stesso non vale per le presenze nelle sale dei comizi, che l’ex banchiere d’affari di 39 anni riconvertito alla politica – volto nuovo, nonostante gli anni (pochi, d’accordo) passati all’Eliseo e a Bercy – continua a riempire.
Di sorprendente c’è stato anche l’esito delle primarie della destra, che hanno sonoramente bocciato l’ex presidente Nicolas Sarkozy e l’ex premier Alain Juppé per regalare il successo, trionfale, a François Fillon. Anche lui in qualche modo volto nuovo, nonostante sia stato il capo del Governo proprio di Sarkozy, e che le rilevazioni indicano come il più probabile successore di Hollande (nonostante un certo calo dei consensi, probabilmente fisiologico dopo la fine dell’effetto primarie), con il 23-28% dei consensi al primo turno.
Che il mondo sia cambiato, che tutto sia diventato imprevedibile, e quindi più difficile per la politica tradizionale (e per chi la incarna, agli occhi dell’opinione pubblica), lo sta capendo a sue spese in queste settimane Manuel Valls, l’ex premier di Hollande, candidato – per ora – alle primarie socialiste di fine gennaio (primo turno il 22, ballottaggio il 29, con la previsione di 1,5-2 milioni di partecipanti, rispetto ai 4,3 milioni delle primarie della destra).
Diventato il potenziale leader naturale del Ps nella corsa all’Eliseo, dopo l’annuncio shock di Hollande, non aveva certo immaginato una passeggiata, ma neppure una prova speciale della Dakar (almeno in questa fase). E invece la sua campagna sta diventando molto più complicata del previsto. Con sale che, diversamente da Macron, Valls trova semivuote.
Le ragioni delle difficoltà di Valls a imporsi sono numerose. La prima è la diffidenza nei suoi confronti da parte degli “hollandisti” puri e duri, tra cui ovviamente Ségolène Royal, che lo accusano di tradimento (avendo spinto il presidente a gettare la spugna). La seconda è legata alla sua posizione “storica” all’interno del partito, figura di riferimento dell’ala destra, e al suo carattere, piuttosto spigoloso e aggressivo.
Avendo passato oltre due anni a rivendicare con una certa arroganza la propria linea politica, sparando a zero sull’opposizione interna di sinistra, è comprensibile che oggi – quando, per ragioni bassamente elettorali, porge il ramoscello d’ulivo - molti gli girino le spalle. La terza ragione è frutto degli errori commessi con l’annuncio delle prime misure del suo programma: per esempio il ripristino della defiscalizzazione delle ore di straordinario, una misura emblematica della presidenza Sarkozy che i socialisti hanno cancellato; o, soprattutto, l’abolizione del voto di fiducia (con l’esclusione delle leggi fiscali e di bilancio).
Ma come, si sono chiesti tutti, proprio lui che ha usato la fiducia sei volte – vantandosene e scontrandosi duramente con la fronda interna al partito – per far passare i contestatissimi provvedimenti sulla liberalizzazione dell’economia e del mercato del lavoro? «Sono cambiato», risponde Valls alle critiche. Ma è poco credibile e il risultato è nei sondaggi, che parlano di un testa a testa con l’ex ministro (protezionista) dell’Economia Arnaud Montebourg.
Chiunque vinca le primarie socialiste, l’impressione è comunque che sia troppo debole per competere con gli avversari delle presidenziali. E qualcuno già immagina che il partito alla fine potrebbe appoggiare proprio “il ribelle” Macron.
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