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Trump si scatena: dazi contro l'offshoring, Tpp cancellato e Nafta…

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COMMERCIO

Trump si scatena: dazi contro l'offshoring, Tpp cancellato e Nafta rinegoziato. Ai Ceo 30 giorni per piani di assunzioni

Afp
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NEW YORK - Sono tutti «fantastici», i top executive chiamati e accorsi al suo cospetto alla Casa Bianca. Costruiranno nuovi impianti negli Stati Uniti, grazie a sgravi fiscali e a una deregulation voluta dalla sua amministrazione che eliminerà tre quarti delle norme esistenti. Come la taiwanese Foxconn, che sarebbe pronta ad aprire qui un grande stabilimento «e forse più d'uno».

Ma il commercio, quello cambierà e drasticamente. Perché oggi «non abbiamo un libero scambio», il made in Usa è discriminato all'estero mentre i prodotti internazionali entrano negli Stati Uniti a porte aperte.

Detto fatto: Donald Trump ha annunciato un memorandum che ritira formalmente Washington dal TPP asiatico non ancora entrato in vigore; ha mosso passi formali per rinegoziare il nordamericano Nafta; ha invocato un nuovo accordo bilaterale con la Gran Bretagna; e ha brandito la minaccia di pesanti dazi sull'import per tutte le aziende che faranno offshoring. Il TPP (TransPacificPartnership) è un accordo commerciale firmato da Stati Uniti, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam (sono fuori Cina e Corea del Sud).

L’incontro con gli industriali
Trump è partito all'assalto degli accordi commerciali da un incontro con una dozzina di chief executive di grandi aziende in mattinata, da Ford a Lockheed Martin, da Dell a Tesla e Dow Chemical, seguito più tardi nel pomeriggio da un meeting con i sindacati. Stando ai dirigenti di Dow Chemical ha chiesto a tutti di tornare da lui entro 30 giorni con nuove idee e progetto per assumere su scala nazionale.

Nel fine settimana Trump aveva inoltre già chiamato i leader di Canada e Messico per avviare la discussione sull'interscambio e sui limiti all'immigrazione, preannunciando vertici al più presto. Stando a indiscrezioni, tra gli obiettivi concreti della Casa Bianca c'è la modifica della normativa sul contenuto minimo di made in Usa nelle auto vendute a nord del Rio Grande senza tariffe doganali.

Trump, nelle dichiarazioni a margine dell'incontro con gli amministratori delegati, ha minacciato una nuova «significativa border tax», cioè una tassa sull'import, per fermare l'invasione di merci globali frutto dell'esodo di aziende fuori dai confini. In passato l'aveva quantificata al 35 per cento. «Vogliamo tornare a produrre qui», ha detto.

L’incontro con i vertici di Fca, Ford e General Motors
In quest’ottica il presidente americano riceverà domani gli amministratori delegati di Fca, Ford e General Motors. Lo ha affermato il portavoce della Casa
Bianca, Sean Spicer spiegando che Sergio Marchionne, Mark Fields e Mary Barra
avranno una colazione con il presidente.


Venerdì Theresa May alla Casa Bianca
Il neopresidente ha in programma il primo summit con un leader straniero venerdì, quando il premier britannico Theresa May visiterà la Casa Bianca. E anche con May intende discutere di “trade”, di una intesa commerciale bilaterale, la forma preferita nel clima di America First rispetto ad accordi multilaterali. Anche se un patto con la Gran Bretagna su questo fronte non appare né rapido né facile, visto che Londra deve tuttora districarsi anzitutto dall'Unione europea.

Trump, accanto alla politica, non ha però saputo resistere neppure oggi alla tentazione di una dose di auto-celebrazioni in dichirazioni spontanee e spesso confuse che rischiano di alimentare per il momento le polemiche sull'efficacia del suo governo e del suo stile. Si è complimentato con se stesso per quel che ha già fatto nel riportare posti di lavoro in America. Alcune aziende, dopo le critiche del neopresidente, hanno annunciato negli ultimi due mesi la cancellazione di investimenti in Messico e il potenziamento di impianti e investimenti statunitensi. Numerose di queste scelte erano tuttavia già da tempo in preparazione.

E in altri casi i critici temono che diventino soprattutto colpi d'immagine quando non rischino di diventare delle “tangenti” velate, il costo di fare business sotto Trump per aziende impaurite e ricattate dallo spettro di perdere contratti federali. I chief executive presenti oggi all'incontro hanno di sicuro fatto sfoggio esplicito di ossequi. «È molto serio sull'economia - ha detto Mark Fields, ceo di Ford, una delle società in precedenza prese di mira da Trump -. E questo ci dà fiducia nel futuro».

Altre controversie hanno continuato a perseguitare i primi giorni della nuova presidenza. Un gruppo di esperti di etica ha presentato denuncia contro i pagamenti in arrivo da Paesi esteri ai business tuttora posseduti dal presidente, che li ha affidati ai figli ma non ceduti. La denuncia sostiene che sono in violazione di una specifica legge sugli “emolumenti” in arrivo da altre nazioni a politici e funzionari federali.

Gli attacchi alla stampa
Cresce intanto anche la polemica sugli attacchi della Casa Bianca alla stampa. Nel fine settimana Trump ha lanciato una serie di accuse ai media palesemente false: ha sostenuto che hanno creato loro lo scontro tra lui e la Cia. Il suo portavoce Sean Spicer ha usato numeri del tutto errati per rivendicare che l'inaugurazione di Trump venerdì scorso è stata la più seguita nella storia. E il consigliere Kellyanne Conway ha difeso simili affermazioni ammettendo che si tratta di «fatti alternativi» e minacciando l'intervistatore scioccato dall'argomento, Chuck Todd di Msnbc, di rappresaglie nei rapporti con la Casa Bianca se non cessava di incalzarla sulle parole di Spicer.

No a fondi federali per l’aborto
Infine, il presidente ha inoltre firmato un ordine esecutivo con cui ristabilisce il divieto di finanziare con fondi federali le Organizzazioni non governative internazionali che praticano aborti o forniscono informazioni a riguardo. Si tratta di un provvedimento che, da quando fu introdotto dall'amministrazione repubblicana nel 1984, è stato revocato dalle amministrazioni democratiche e reintrodotto da quelle repubblicane che si sono succedute. L'ultima volta era stato il presidente Barack Obama a cancellare il divieto.

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