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Dossier Steve Miller, lo «stregone» in giacca e cravatta di Trump

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    Dossier | N. 5 articoliLe anime nere della destra populista

    Steve Miller, lo «stregone» in giacca e cravatta di Trump

    Donald Trump e Stephen Miller
    Donald Trump e Stephen Miller

    Ha solo 31 anni e un aspetto che l’ha fatto paragonare a un giovane Gargamella, lo stregone malvagio dei puffi. Ma lui non scherza affatto. È avvezzo e pronto a tutte le battaglie: le ossa se le è fatte prima a scuola, dove ingaggiava feroci duelli con gli studenti progressisti. Poi tra le correnti repubblicane ribelli dei Tea Party, dove è stato aiutante di campo della loro generalessa Michelle Bachman. Infine da braccio destro del senatore ultrà Jeff Sessions, oggi segretario alla Giustizia nonostante le polemiche sul suo passato - e forse presente - razzista.

    Steve Miller è l’alter ego di Stephen Bannon. Opposti nell’immagine, giacca e cravatta contro l’avventuriero della destra. Ma entrambi esponenti marginali dell’ultra-destra improvvisamente proiettati al cuore del potere, capaci della medesima durezza e aggressività di quando agitavano le frange estremiste. Qualcuno direbbe la stessa arroganza: suo, più ancora che di Bannon, è stato il contenuto del malconcepito ordine esecutivo sull’immigrazione fermato dai tribunali.

    In primo piano Stephen Miller. Alle sue spalle Stephen Bannon

    Miller, tradendo i suoi impeccabili completi blu, in azione sembra soddisfatto del ruolo di fanatico senza remore. Bastano poche frasi a riassumere il suo stile: «I nostri nemici, il mondo e i media si accorgeranno presto dei poteri del presidente, che non possono essere messi in discussione», ha tuonato parlando con orgoglio dei decreti razziali e di sicurezza. Ancora: «Nessuno deve negare che ci sono milioni di elettori illegali registrati nel nostro Paese», ha affermato rilanciando l’accusa, ripetutamente provata falsa, che Trump avrebbe perso il voto popolare - di ben tre milioni - per colpa di orde di clandestini che hanno tutti votato per Hillary Clinton.

    “«I nostri nemici, il mondo e i media si accorgeranno presto dei poteri del presidente, che non possono essere messi in discussione»”

    Stephen Miller 

    Miller, nato in California in una famiglia ebrea e democratica, deve la sua conversione politica all’incontro da studente liceale con i libri di Wayne LaPierre, il leader della National Rifle Association, la lobby delle armi. Comincia a partecipare a trasmissioni radiofoniche della destra radicale. E a 16 anni si distingue per una lettera aperta di denuncia del suo liceo per la risposta pacifista agli attentati terroristici dell’11 settembre, nella quale scrive che «Osama bin Laden si troverebbe benissimo nella mia scuola». Studia poi alla Duke University, diventando un attivista conservatore. Entrato in politica i suoi maggiori successi sono nel coordinare la campagna per defenestrare il leader repubblicano moderato alla Camera Eric Kantor e in seguito nello sconfiggere gli sforzi del cosiddetto gruppo degli otto, quattro repubblicani e altrettanti democratici, che avevano preparato una riforma di compromesso sull’immigrazione. Da direttore della comunicazione di Sessions scrive buona parte dei suoi violenti discorsi anti-immigrati.

    Arrivato con Sessions alla campagna di Trump, diventa un efficace surrogato e atto introdutivo del candidato presidenziale, l’uomo che scalda la folla ai comizi con le invettive prima che sul palco salga la stella dello spettacolo. Viene nominato responsabile di politica economica della campagna e, dopo la vittoria alle urne, responsabile politico della transizione alla Casa Bianca. Adesso il suo incarico rimane quello di uomo di fiducia, consigliere senior del presidente.

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