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Il vero nodo resta la misura del bilancio Fed

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Il vero nodo resta la misura del bilancio Fed

  • –Maximilian Cellino

«Abbiamo discusso se cambiare la politica di reinvestimento dei proventi dei titoli che abbiamo in portafoglio, ma non abbiamo ancora preso una decisione. Continueremo a farlo anche nelle riunioni successive, mantenendo fede al principio che il processo di normalizzazione del nostro bilancio sarà graduale e prevedibile». Forse sono state proprio queste parole, improntate a una cautela non indifferente e pronunciate due giorni fa da Janet Yellen a determinare l’indebolimento del dollaro, l’avanzata di Wall Street e il momentaneo rimbalzo dei titoli di Stato Usa.

Quello della misura e della possibile riduzione del bilancio della Federal Reserve è infatti il tema centrale della politica monetaria americana (e non solo) forse anche più delle stesse manovre sui tassi. Contrariamente a quanto si possa pensare, da quando la Banca centrale Usa ha interrotto il «Qe» e smesso di acquistare i Treasury e gli altri asset previsti dal piano, il valore del portafoglio detenuto dalla stessa Fed non è sceso, ha semplicemente smesso di crescere e si è stabilizzato poco sopra 4.500 miliardi di dollari. Stessa storia quando Yellen ha iniziato ad aumentare i tassi, e il motivo è semplice: man mano che i titoli acquistati in precedenza giungevano a scadenza, Washington ha reinvestito la stessa cifra acquistandone di nuovi e continua a farlo.

Finché la situazione resta tale anche la liquidità in eccesso sui mercati si mantiene su livelli record, cosa che contribuisce a spiegare l’euforia degli investitori, ma è inevitabile che prima o poi anche il bilancio Fed dovrà stringere la cinghia. «Ridurlo rinforzerebbe l’impatto della normalizzazione dei tassi di interesse a breve», spiega Gianluigi Mandruzzato di Bsi, proprio a sottolineare il fatto che con un aggiustamento del bilancio la Banca centrale Usa potrebbe agire in misura minore sulla leva dei tassi a breve termine, evitando fra l’altro l’eccessivo (e indesiderato) rafforzamento del dollaro che questo comporta.

Il rovescio della medaglia è che la reazione dei mercati a un dimagrimento del portafoglio Fed è tutt’altro che prevedibile (basta pensare a quale sia stata la risposta alle prime indicazioni di tapering del «qe» nel 2013), a maggior ragione se si considera che si viaggia su un terreno del tutto inesplorato. Ciò che finirebbe sul piatto non sono del resto briciole: nel 2017 la Fed dovrebbe reinvestire circa 52 miliardi di dollari ogni trimestre, una cifra destinata a raddoppiare (107 miliardi) l’anno prossimo. E se tutto ciò dovesse improvvisamente mancare una risalita dei tassi a lungo termine sarebbe inevitabile.

Gli analisti di Bsi (gruppo Efg) provano a quantificare un simile impatto e stimano che per ogni 100 miliardi in meno nel bilancio Fed i rendimenti del Treasury decennale potrebbero subire un aumento medio di 6 centesimi. «Se si considera che entro la fine del 2019 andranno a scadenza titoli di Stato per più di 900 miliardi, i rendimenti Usa a lungo termine potrebbero subire una spinta al rialzo di 55 punti base superiore a quanto sarebbe altrimenti accaduto», sottolinea ancora Mandruzzato: un effetto non da poco quando si pensa che in questa fase gli analisti si stanno interrogando se sia il 2,6% o piuttosto il 3% il livello del decennale americano da tenere d’occhio per una possibile inversione della tendenza in atto sui listini.

Proprio per questo Yellen è andata con i piedi di piombo sul tema due giorni fa e continuerà probabilmente a farlo nei prossimi mesi. La Fed, del resto, non dovrà necessariamente azzerare in un colpo solo i reinvestimenti dei titoli acquistati con il «qe» e giunti nel frattempo a scadenza. Potrebbe per esempio decidere di reimpiegare soltanto una frazione di quei proventi, oppure anche procedere a una mossa esattamente contraria rispetto all’operazione «twist» di qualche anno fa, vendendo Treasury a lungo termine e acquistando titoli a breve: «Abbassare la scadenza media del portafoglio ridurrebbe i rischi di duration della Fed e la aiuterebbe ad alleggerire il peso della normalizzazione della politica monetaria sui tassi dei Fed Funds», conferma Mandruzzato. L’importante, in questi casi, è muoversi a piccoli passi, e soprattutto comunicarlo in anticipo al mercato: «Graduale e prevedibile», parola di Yellen.

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