L'ha chiamata Cancelliera Merkel, evitando l'abituale gaffe di americanizzare il suo nome di battesimo infilandoci una sbadata “g” dolce in Angela. Le ha stretto la mano, quando l'ha tardivamente stretta, senza quel tradizionale gioco di tira e molla che forse prova la sua prestanza fisica - e dunque politica. Ma l'atteso primo vertice tra Angela Merkel e Donald Trump, ideato per rompere il ghiaccio tra grandi alleati a disagio, ha confermato soprattutto la gelida tundra che oggi separa i leader di Germania e Stati Uniti - e per estensione l'amministrazione americana dall'Europa.
La distanza è rimasta lì, irriducibile, sotto i riflettori di una impacciata conferenza stampa congiunta malamente velata dalle cortesie del protocollo diplomatico e dagli incontri celebrativi a margine con aziende di successo dei due Paesi. L'immigrazione? Una questione di sicurezza nazionale e un privilegio, ha sentenziato Trump che da sempre rimprovera a Merkel di aver “rovinato” la Germania accoglienti i rifugiati. Il commercio? Da rivedere perché diventi “giusto” nei confronti di Washington, dopo aver invitato i tedeschi a impossibili negoziati bilaterali ignorando l'Unione Europea. Un po' meglio- ma solo un po' - dal vertice è uscita la Nato, promossa con la zavorra della chiamata all'aumento della spesa militare dei partner inadempienti.
Cosi', il giuramento ieri di Trump di non essere affatto un “isolazionista” viene svuotato - giorno dopo giorno, vertice dopo vertice - dalla rozza declinazione del suo credo nazionalista di America First. Ma ieri quel giuramento e' stato vanificato anche da un altro colossale passo falso: da amnesie storiche sconcertanti per una superpotenza democratica la cui “moneta” dovrebbe essere la credibilita'. Merkel ha offerto ieri a Trump l'opportunita' di cogliere una breve lezione di responsabilità multilaterale: ha ricordato la profondità e il peso di un'alleanza strategica con la Germania forgiata dal piano Marshall e dalla vittoria nella Guerra Fredda che ha portato alla riunificazione tedesca. Lui, Donald, non ha saputo che farsene: ha preferito condividere con la Cancelliera l'insostenibile leggerezza delle accuse al suo predecessore alla Casa Bianca, Barack Obama. Entrambi, ha detto, sarebbero stati vittime di intercettazioni orchestrate dall'ex Presidente. Paragonando cioe' le infondate insinuazioni che Obama l'avrebbe fatto spiare dentro la sua Trump Tower alla provata sorveglianza di leader europei da parte della NSA portata alla luce della talpa Edward Snowden nel 2013. Di piu': ha rifiutato l'occasione per ritrattare pubblicamente l'ultima scioccante insinuazione, che i servizi segreti britannici avrebbero partecipato direttamente a questo complotto a base di intercettazioni - un'insinuazione respinta non soltanto come falsa ma, in una presa di posizione senza precedenti tra due Paesi con uno “speciale” legame di amicizia, come “ridicola” da Londra, che ha invitato a “non prestare alcuna attenzione” quanto uscito dalla Presidenza americana. Angela - e con lei forse il resto del mondo - hanno ieri pudicamente distolto, letteralmente e mataforicamente, lo sguardo dal podio della Casa Bianca.
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