Addio Regno Unito, benvenuta Scozia. Anzi: benvenuti in Scozia. Mentre Londra si avvicina alla Brexit, i “cugini” scozzesi hanno già iniziato a guadagnare terreno in uno dei settori più vitali per l'economia britannica: gli international students, la popolazione di studenti universitari stranieri cresciuta fino a sfiorare il mezzo milione di unità. Se i college dell'Isola hanno rallentato la propria crescita negli ultimi anni, gli atenei scozzesi sono andati in direzione contraria: dai 37mila studenti internazionali registrati nel 2006-2007 ai 50.925 rilevati per il 2015-2016 dall'organizzazione Uk Council for international students affairs. Un balzo del 72,6% che si traduce in nuovi fonti di reddito, “sottraendo” magari quote di entrate a regioni inglesi cresciute intorno alla vita e all'indotto dei campus accademici.
Nel nord-ovest che ha votato a favore della Brexit con punte di oltre il 60%, stando ai dati Oxford Economics, gli studenti internazionali generano spese per 458 milioni di sterline e creano 3.995 posti di lavoro. Parte di quella ricchezza potrebbe spostarsi ora poco più su, nella Scozia che si era opposta alla Brexit e torna a chiedere un referendum per l'indipendenza dopo il tentativo del 2014.
Se gli internationals valgono 25,8 miliardi di sterline
È la stessa indagine di Oxford Economics a ribadire l'impatto «enorme» degli studenti esteri sull'economia britannica. Nel solo 2014-2015, secondo l'indagine, gli iscritti in arrivo dal resto d'Europa e del mondo hanno generato ritorni per 25,8 miliardi di sterline e creato oltre 206mila posti di lavoro. Si parla, ad esempio, di 4,5 miliardi di sterline in tasse e 5,4 miliardi in beni e servizi consumati al di fuori della vita nel campus, senza contare neppure i ritorni per turismo, trasporti e affitti. Per ora l'incidenza dell'Inghilterra è schiacciante, ma il gap potrebbe ridimensionarsi. In particolar modo quando si parla di studenti Ue, un segmento minoritario ma rilevante sulla totalità di iscritti stranieri nel Regno Unito.
L'Inghilterra assorbe quasi 360mila dei 438mila studenti internazionali registrati nel Regno Unito, ma la Scozia vanta il ritmo di crescita indicato sopra (oltre il 70%) e, in proporzione, la più alta quota di europei all'interno del suo bacino: 20.945 su 50.925, l'equivalente del 41% contro il 27% che si registra in Inghilterra (98.460 su 359.735). È presto per dire se la Brexit possa favorire un travaso degli studenti europei tra i due sistemi, ma gli atenei scozzesi si stanno già giocando delle carte fiscali e politiche. Viceversa, la chiusura di Londra rischia di tradursi in un boomerang con effetti proprio sul bacino degli studenti dal Continente.
Oggi la Scozia esenta già dalle tasse universitarie agli iscritti Ue, mentre i super-college inglesi richiedono rette dalle 9mila sterline in su. Se in Inghilterra scattasse l'equiparazione tra studenti Ue e internazionali, le aspiranti matricole in arrivo dal Continente si troverebbero a pagare le stesse tasse da 20mila sterline e oltre già imposte agli studenti asiatici o americani.
Investimenti da 1,5 milioni (a università) per attrarre talenti
Già, ma dove potrebbero indirizzarsi gli studenti stranieri? La Scozia gode di alcune punte di eccellenza, ma la storia e il blasone degli atenei inglesi ha sempre fatto ombra al resto dell'Isola. A prima vista è naturale pensare ad atenei già internazionali come la University of Edimburgh (10.780 studenti stranieri) o la University of Glasgow (7.635), passando per istituzioni storiche come il St Andrews, fondato nel XV secolo e culla di sei premi Nobel.
In realtà, però, anche gli atenei meno noti all'estero stanno iniziando a investire con lo scopo dichiarato di attirare studenti esteri e aumentare il tasso di internazionalità della propria popolazione studentesca. La Robert Gordon University, fondata ad Aberdeen nel 1992, conta solo 580 internazionali su un totale di oltre 16mila studenti. Presto, però, il suo nome potrebbe farsi conoscere anche oltre al nord-est della Scozia: l'ateneo ha annunciato un investimento da 1,5 milioni di sterline in borse di studio per iscritti stranieri, con l'obiettivo di attirare 100 nuovi studenti di alto livello nell'immediato e raggiungere una quota del 10% di internazionali «entro cinque anni». David Ashall, responsabile del reclutamento degli studenti dell'ateneo, spiega al Sole 24 Ore che l'esenzione dalle tasse per gli studenti Ue è solo uno dei fattori competitivi delle università scozzesi accanto a «qualità dell'educazione, qualità della vita e rapporto qualità-prezzo per l'università». Quanto alle ricadute della Brexit e di un potenziale referendum scozzese, i risultati si potranno toccare con mano a trattative iniziate. E l'attesa non dovrebbe essere lunga: «Qualsiasi cosa con questi referendum, sarà molto interessante – dice Ashall – E nel giro di un paio di anni».
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