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«Senza di me vi sareste annoiati». Questa frase di Emmanuel Macron è sicuramente una delle battute che verranno ricordate del primo dibattito televisivo tra i principali candidati alle presidenziali francesi. Lungo, troppo lungo – quasi tre ore e mezza – e con troppi argomenti inevitabilmente appena abbozzati. Che però è stato seguito da dieci milioni di persone, con punte oltre gli undici e uno share medio del 48 per cento. A dimostrazione dell’interesse che l’opinione pubblica continua ad avere per la “madre di tutte le elezioni” e dell’incertezza che caratterizza questa strana campagna dalle molte sorprese e dai tanti elementi inediti: secondo i sondaggi un terzo dei potenziali elettori non sa se voterà; e la metà di chi andrà ai seggi non ha ancora deciso quale nome indicherà sulla scheda.
È in effetti molto probabile che senza Macron ci si sarebbe annoiati. O comunque annoiati di più. La vera novità di queste presidenziali, e quindi del dibattito di lunedì sera, d’altronde è lui. E per la sua prestazione c’era molta attesa e molta curiosità, che l’ex ministro dell’Economia non ha deluso. Essendo pian piano diventato il favorito della corsa all’Eliseo, era ovviamente nel mirino di tutti i suoi avversari, i quali non hanno risparmiato gli attacchi. Che lui è riuscito abbastanza brillantemente a rintuzzare. Quelli da sinistra (del socialista Benoit Hamon) sul supposto finanziamento della sua campagna elettorale da parte delle lobbies industriali. Quelli da destra (François Fillon) su suo posizionamento politico ambiguo. Quelli dell’estrema destra (Marine Le Pen) sull’incerto confine tra politica e affari, tra pubblico e privato (Macron è stato banchiere d’affari). Anche se a volte ha perso il proverbiale sangue freddo (soprattutto nei confronti della Le Pen sulla delicata questione della laicità) la sua tranquilla collocazione al centro di uno scenario politico storicamente contraddistinto dal bipolarismo destra-sinistra, invece di essere una debolezza (che Fillon ha cercato spesso di sottolineare) è sembrata convincente e rassicurante.
Come confermano le prime rilevazioni realizzate a caldo tra i telespettatori. Secondo le quali il “vincitore” del dibattito è stato appunto lui, davanti a Fillon e alla Le Pen. Certo, per avere una conferma bisogna aspettare che si posi la polvere, che le opinioni siano più meditate, che arrivino cioè i sondaggi sulle intenzioni di voto. Ma insomma, l’impressione è che la prima prova del fuoco – per un personaggio che non ha mai partecipato a un’elezione e a un simile confronto, diventato dirigente politico meno di un anno fa - sia stata superata. E diventi quindi sempre più concreta la prospettiva che la vecchia Francia possa portare all’Eliseo un trentanovenne indipendente dai partiti tradizionali.
Neppure Fillon è andato male. Purtroppo per lui poche ore dopo sono arrivate nuove rivelazioni. L’inchiesta della Procura finanziaria è stata infatti estesa ai reati di truffa aggravata e falso, perché da nuove perquisizioni sarebbero emersi documenti falsificati per giustificare il lavoro e le retribuzioni della moglie Penelope. Mentre secondo il settimanale “Le Canard enchainé” l’ex premier avrebbe incassato 50mila dollari per organizzare gli incontri di un uomo d’affari libanese con il presidente russo Vladimir Putin e il presidente di Total Patrick Pouyanné.
La Le Pen, dal canto suo, ha puntato sui consueti, efficaci, slogan sull’immigrazione e la sicurezza. Ha solo sfiorato il tema, pur cruciale, dell’uscita dall’euro. Attirandosi peraltro l’accusa a effetto di Fillon: «L’abbandono della moneta unica è il serial killer del potere d’acquisto dei francesi».
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