Nel caos dell’era Brexit si fa largo una certezza. Nei due anni di negoziato per definire le regole e le future relazioni anglo-europee non cambierà nulla per chi già risiede in Gran Bretagna. Un comunicato dell’ambasciata italiana a Londra, reso già noto nelle scorse settimane, è netto. «Le autorità del Regno Unito hanno precisato che il Governo, anche dopo l’attivazione dell’articolo 50 (quello che stabilisce il recesso dall’Ue e che scatterà da oggi con formale comunicazione alla presidenza Ue n.d.r.) continuerà ad assicurare il pieno rispetto di diritti e obblighi europei fino al giorno in cui il Regno Unito uscirà dall’Ue, inclusi quindi i diritti di cui godono attualmente gli stati membri dell’Ue fra i quali la libera circolazione delle persone». Un principio sancito dalla Convenzione di Vienna del 1969 che stabilisce come la fine di un Trattato «non tocca i diritti, gli obblighi o il contesto legale fra le parti che si siano creati nel periodo di esistenza del trattato stesso». Concetto riaffermato dalla Camera dei Comuni che sancisce come il ritiro da un Trattato «non tocca diritti e obblighi acquisiti prima del recesso».
Un equivoco da settimane, tuttavia, leva folate di fumo denso sul “che fare ?” spianato davanti ai cittadini Ue. Da quando scatta la Brexit? Dal giorno del referendum ovvero dal 23 giugno? Da oggi attivazione dell’articolo 50? Dalla data finale del negoziato, ovvero fra due anni, quando le parti dovranno aver trovato un’intesa, concluso l’iter negoziale e chiusa la porta alle spalle di Londra? La terza opzione è quella giusta anche se Londra e Bruxelles dovranno stabilire la data ultima entro la quale considerare diritto acquisito la residenza permanente di ogni cittadino Ue nel Regno Unito e britannico nella Ue.
Per i già residenti non cambierà nulla.
Per i cittadini residenti nulla, nel biennio di trattativa, muterà. Successivamente scatteranno le regole che saranno state individuate dai negoziatori e che dovranno essere reciproche. Tutelando cioè i 3 milioni di cittadini Ue nel Regno Unito e il milione di britannici nell’Unione. L’urgenza assoluta di togliere dal limbo tanti lavoratori è evidente sia a Londra che a Bruxelles, decise ad affrontare da subito i diritti dei migranti intra-Ue. Spregiudicati tatticismi pre- negoziali hanno impedito al Regno Unito di fare l’atteso gesto unilaterale di riconoscimento dei diritti di chi già risiede attorno al Tamigi. Un gesto atteso che avrebbe messo la trattativa su un tragitto virtuoso.
Il ministero della Brexit, David Davis, s’è reso conto che in questa transizione non potrà essere adottata la sospensione degli assegni famigliari ai lavoratori impiegati nel regno con i figli nel luogo d’origine. Era un punto del programma dei conservatori, definito da David Cameron nell’intesa con la Ue e che l’ex premier sperava fosse sufficiente a vincere il referendum. Con l’affermazione del “no” è decaduta quell’intesa. Londra continuerà a mantenere quel diritto? Sì, salvo sorprese, per chi è già residente. È probabile che sia, invece, sospeso per i futuri migranti. Secondo quantro riportato dal Sunday Times, ma non confermato, il blocco degli assegni a figli all’estero, per i futuri migranti, scatta da oggi.
Obiettivo: certificato di residenza permanente.
È il mistero che aleggia sui destini dei cittadini Ue nel Regno. Il formulario di 85 pagine è stato ridotto a un formato, online, più snello anche se chi lo compila deve preoccuparsi di corredarlo con una voluminosa documentazione (dalle ultime cinque dichiarazioni dei redditi, alle bollette dei servizi energetici). L’obbiettivo è stabilire se la persona richiedente abbia davvero abitato nel Regno Unito negli ultimi cinque anni (soglia temporale che assicura una ragionevole certezza di concessione del beneficio), facendo di Londra la sua reale residenza. La mancanza di una carta d’identità che la Gran Bretagna si ostina a non voler adottare per ragioni di privacy complica le cose. È necessario compilarlo? All’ambasciata italiana precisano di “no”. È indispensabile solo per coloro che intendano chiedere oggi la nazionalità britannica, essendo una sorta di passo propedeutico verso il passaporto con lo stemma dei Windsor. Tutti gli altri cittadini, studenti inclusi, non hanno alcun dovere in tal senso nel periodo di trattativa. Anzi è opportuno pensarci bene , perchè ci sono stati casi di richieste rigettate e accompagnate dal minaccioso messaggio “preparatevi a lasciare il Paese”. È toccato anche a una cittadina olandese residente da 28 anni in Gran Bretagna, sposata con un inglese e madre di due giovani sudditi di Elisabetta. Mostruosità burocratiche che stanno generando una nuova industria: consulenti per la compilazione del modulo. Un servizio a pagamento, ma utile se si vogliono evitare equivoci nel formulario.
Un esempio. Come si risponde alla domanda quando sei entrato per la prima volta in Gran Bretagna? A 16 anni in gita scolastica o sei anni fa per lavoro? Una trappola anche il requisito sulla sanità. È richiesta a studenti e altre categorie di cittadini, un’assicurazione sanitaria privata. Chi non l’ha rischia di fallire il test con l’allegato invito a fare i bagagli, in linea con una procedura sostanzialmente illecita. Sul punto, infatti, c’è già un contenzioso euro-britannico per violazione della libera circolazione dei cittadini che godono dei rispettivi servizi sanitari nazionali senza dover avere per forza un “pilastro” di assicurazione privata (a un inglese in Italia non è richiesto come a un inglese in Inghilterra).
Che accadrà ai cittadini Ue e britannici dopo il negoziato?.
Si entra nel mondo delle ipotesi perchè la vicenda è di devastante complessità, toccando tutti gli aspetti dell’esistenza: dalla sanità, alla previdenza, ai diritti di ricongiunzione famigliare,alle tasse universitarie che oggi consentono ai cittadini Ue di pagare quanto un britannico, ovvero una frazione del conto che tocca agli studenti extra Ue. Il Financial Times ha individuato un altro esempio significativo: un lavoratore britannico che va in Australia oggi gode della pensione statale britannica, ma congelata, senza scatti per l’inflazione. Un lavoratore tedesco che vive in Gran Bretagna gode invece della piena pensione britannica. Capitoli singoli e corredati di mille appendici della convivenza che verrà da leggere lungo un doppio binario: i diritti dei residenti pre Brexit per almeno cinque anni, con la sottocategoria di quelli residenti da meno di cinque anni; i diritti dei lavoratori che arriveranno post Brexit (più coloro, come abbiamo visto, che giungeranno da oggi, a procedura in corso).
Ci sarà da regolamentare tutto a meno che non scatti un meccanismo di assoluta reciprocità euro-britannica che rischierebbe però di sbattere con il principio della libera circolazione che Londra non vuole, essendo all’origine della Brexit stessa. L’alternativa appena sussurrata per i brividi che solleva conduce a intese bilaterali: scenario inimmaginabile.
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