Mondo

La Corporate America si mobilita contro i dazi di Trump

  • Abbonati
  • Accedi
RISCHIO GUERRA COMMERCIALE

La Corporate America si mobilita contro i dazi di Trump

Attivisti americani manifestano davanti alla Trump Tower a New York (Afp)
Attivisti americani manifestano davanti alla Trump Tower a New York (Afp)

Gli undicimila e più commenti arrivati alle autorità americane sulla “lista nera” dei prodotti europei finiti nel mirino di sanzioni sono tutti preoccupati: consumatori ma anche tanti concessionari o costruttori di motociclette, che vedono il business assediato dal nuovo muro di tariffe minacciato da Donald Trump. Sono, soprattutto, un microcosmo di una protesta che serpeggia nella Corporate America: agricoltori e allevatori temono le ripercussioni di dispute con il Messico. Fremono grandi settori dalla tecnologia all’auto, dal retail all’ospitalità. E interi Stati, dalla California al Wisconsin, dal Michigan all’Iowa, alla prospettiva di nuove guerre commerciali - ad alta o bassa intensità che siano.

La Corporate America si sta mobilitando per frenare la retorica e la mano dell’America First, ammonendo che una spirale di attacchi e ritorsioni potrebbe danneggiare proprio l’America. Una campagna di pressioni pubbliche e private, attraverso chiamate a parlamentari locali e delegazioni spedite a Washington.

Harley-Davidson, seppur di recente invitata alla Casa Bianca, è uscita allo scoperto contro barriere agli scooter europei. In Iowa, dove con mais e macchinari si contano più suini che persone (sette a uno), i metaforici forconi sono stati impugnati: lo spettro che guerre commerciali ostacolino il suo export - 13 miliardi l’anno per il 12% agricolo, 8 miliardi verso l’Asia oltre che il Messico - ha spinto le sue associazioni imprenditoriali hanno invitato l’amministrazione a «estrema cautela». Nella sola carne di maiale in gioco ci sono cento milioni di export l’anno verso il Messico. In California l’enorme produzione agricola in arrivo dal Sud, a cominciare dagli avocado, sostiene la domanda a vantaggio anche di produttori locali oggi in armi. E Wisconsin, patria del formaggio, e Texas, che con il Messico ha un surplus, hanno messo in chiaro di aver molto da perdere.

Questa settimana la Casa Bianca ha scosso i nervi della Corporate America alzando il tiro dell’offensiva commerciale. Ha fatto filtrare la minaccia di sanzioni su prodotti europei per una vecchia disputa sulla carne agli ormoni, firmato ordini esecutivi che prendono di mira Paesi con un surplus commerciale e rafforzano l’anti-dumping. I timori sono aggravati dai rischi che la perdita di credibilità dell’amministrazione per le sue uscite scomposte metta in pericolo altri obiettivi ben più cruciali: una riforma delle tasse, che la Casa Bianca ha iniziato a discutere nei giorni scorsi, in grado di abbassare le aliquote corporate al 20% dal 35% e facilitare il rimpatrio di profitti. Le divisioni interne ai repubblicani, come già per la fallita rivoluzione sanitaria, potrebbero svuotare un’ampia riforma fiscale.

LA MAPPA DEI DAZI SULLE IMPORTAZIONI
Tariffe medie applicate sull’import (Fonte: Wto)

Altre recenti scelte hanno aggravato il nervosismo: i tentati divieti di viaggio da nazioni islamiche e i toni isolazionisti sono stati criticati dal settore dell’ospitalità, che dal costruttore e albergatore Trump si aspettava ben altro. Un settore da 250 miliardi di dollari e 15 milioni di dipendenti che teme un decennio perduto: l’associazione alberghiera ha previsto un calo di 4,3 milioni negli arrivi internazionali quest’anno, una flessione del 4%, dopo recenti aumenti. E la crociata contro ambiente ed energia pulita, che oggi è settore in forte crescita, ha lasciato stizziti numerosi colossi statunitensi, dalla stessa petrolifera Exxon Mobil fino a General Electric che ha riaffermato con il suo chief executive Jeff Immelt l’impegno alla green-tech.

“I timori sono aggravati dai rischi che la perdita di credibilità dell’amministrazione per le sue uscite scomposte metta in pericolo altri obiettivi più cruciali come il Fisco”

 

I grandi nomi dell’hi-tech hanno denunciato le difficoltà che si creerebbero nelle grandi catene di forniture e produzione con la Cina. Lo ha fatto Apple, che nel Paese asiatico ha anche il secondo mercato al consumo: il ceo Tim Cook ha invocato maggiori scambi con Pechino.

Alcuni studi hanno cominciato a quantificare l’impatto interno del protezionismo. La border tax da sola, un’imposta del 20% sull’import, già solo nei confronti del Messico si tradurrebbe in una pesante tassa sui consumatori americani: E-Ternational Research l’ha calcolata in media in 500 dollari a famiglia, che in Stati come Michigan e Texas salirebbe a 2.288 dollari e 1.836 dollari. Nell’auto una border tax costerebbe complessivamente 60 miliardi, 3.300 dollari per veicolo, considerando la quantità di componenti in arrivo dall’estero a Detroit. Il risultato: aumenti dei prezzi e cali nei margini di profitto, nelle vendite e nei posti di lavoro, ipotizza JD Rogers.

© Riproduzione riservata