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Dossier Francia, la gauche radicale che fa risalire lo spread

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    Dossier | N. (none) articoliLa Francia sceglie il Presidente: un voto storico

    Francia, la gauche radicale che fa risalire lo spread

    • –dal nostro corrispondente Marco Moussanet
    Jean-Luc Melenchon. (Reuters)
    Jean-Luc Melenchon. (Reuters)

    L’immagine è oggettivamente impressionante: 70mila persone riunite nello scenografico Vecchio Porto di Marsiglia in adorazione del loro idolo. E lui - il guru di questa sorta di setta che pare ogni giorno più nuova e più grande - che si staglia nel blu del cielo e del mare e ottiene dai suoi adepti un minuto di assoluto silenzio, «il silenzio della morte», in omaggio «a tutti i migranti scomparsi nel Mediterraneo».

    Poi Jean-Luc Mélenchon - il tribuno, l’animale di scena, l’oratore d’eccezione che sa ammaliare le folle – riprende la parola, il filo di un discorso più breve del solito ma che come al solito pronuncia a braccio, avvalendosi soltanto di qualche appunto che consulta di tanto in tanto: «Si avverte, si sente, la vittoria è alla nostra portata!». E dalla platea - dove non ci sono bandiere rosse ma soltanto tricolori francesi (e d’altronde Mélenchon sceglie di chiudere il suo meeting con “La Marsigliese” e non, com’è tradizione, con “L’internazionale”) – si alza l’urlo tanto ripetuto e rivolto a tutti quelli che detengono da sempre il potere: «Dégagez! Dégagez!” (sgombrate).

    Un’immagine impressionante anche per i mercati finanziari. I quali - preoccupati da un sondaggio che per la prima volta vede Mélenchon al terzo posto, davanti a Fillon e in rialzo di sei punti in due settimane – spingono lo spread dei decennali francesi sui bund oltre quota 70 punti. Dopo il “rischio Le Pen” ecco il “rischio Mélenchon”. In questa pazza campagna elettorale francese fa improvvisamente capolino la possibilità – certo improbabile, ma quante cose improbabili sono già successe negli ultimi mesi? – di un duello al secondo turno delle presidenziali tra i due candidati dell’estrema destra e dell’estrema sinistra. Entrambi fautori di una denuncia dei Trattati europei.

    Mélenchon – 65 anni, nonni spagnoli e italiani, uscito dal partito socialista, dove aveva militato per 30 anni, nel 2008 per fondare, sull’esempio tedescho di “Die Linke”, il “Parti de gauche” – ci ha già provato nel 2012, a correre per l’Eliseo. È arrivato quinto, con l’11,1%, ma questo non l’ha scoraggiato. E non è neppure un neofita dei grandi raduni: proprio a Marsiglia, cinque anni fa, portò 100mila persone sulla spiaggia del Prado. Ma il 18 marzo scorso erano in 130mila in Place de la République a Parigi. Nel 2012 le sue intenzioni di voto nei sondaggi arrivarono al 14%, ora sono al 18. E soprattutto cinque anni fa c’era il partito socialista, che ora si è praticamente dissolto. Con il candidato ufficiale di Rue de Solferino – l’esponente della sinistra interna Benoit Hamon – all’8-9% e senza alcuna possibilità di andare al ballottaggio, perché non immaginare che altri socialisti delusi vadano a ingrossare le file della “Francia ribelle” (così si chiama il suo nuovo movimento) di Mélenchon?

    Il quale, pur essendo il più anziano dei candidati, sta facendo una campagna all’insegna di una accattivante modernità, utilizzando tutti gli strumenti che la tecnologia gli mette a disposizione. Il 18 aprile terrà un comizio a Digione, ma nel contempo sarà presente, grazie a degli ologrammi, in altre sette città francesi. Ieri ha lanciato una webradio, “I giorni felici”. E venerdì scorso un videogioco, “Fiscal Kombat”. In cui l’eroe Mélenchon va a caccia dei “potenti del denaro” per recuperare i soldi che gli servono a finanziare il suo programma.

    D’altronde gliene servirebbero davvero tanti – oltre 200 miliardi – per riportare la pensione a 60 anni, ridurre la settimana lavorativa a 32 ore, regalare una sesta settimana di ferie, assumere 60mila insegnanti e 200mila dipendenti pubblici, far rimborsare dalla “Sécu” il 100% di tutte le spese sanitarie e farmaceutiche, aumentare il salario minimo del 16%, obbligare lo Stato a dare un lavoro a tutti, chiudere le centrali nucleari entro il 2050. Secondo le “think tank” che si sono esercitate, con Mélenchon (senza i soldi virtuali di “Fiscal Kombat”) il deficit sarebbe del 10% nel 2018 e del 14% nel 2022.

    E ovviamente sorvoliamo i punti agghiaccianti di un progetto dirigista che promette la «rivoluzione dei cittadini contro la monarchia presidenziale»: tassare al 100% chi ha un reddito superiore di venti volte a quello medio, obbligare la Bce («nazionalizzata») a «comprare» tutti i debiti pubblici, prevedere nelle aziende una consultazione dei dipendenti sull’operato dei dirigenti, vietare per legge i licenziamenti in un’azienda che non ha i conti in rosso.