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Fabbrica a rischio delocalizzazione, trappola di Le Pen a Macron

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le presidenziali in francia

Fabbrica a rischio delocalizzazione, trappola di Le Pen a Macron

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Comunque andrà a finire il 7 maggio – anche se i sondaggi confermano l’apparentemente incolmabile vantaggio di Emmanuel Macron su Marine Le Pen – le immagini di quanto è accaduto ieri davanti allo stabilimento Whirlpool di Amiens rimarranno nella memoria di tutti come uno dei momenti forti, per ora certo il più forte, di questa nuova campagna elettorale tra i due turni delle presidenziali francesi.

Sul parcheggio della fabbrica è infatti andato pleatelmente, fisicamente in scena il tema centrale dello scontro tra i due candidati. Quello, per schematizzare al massimo, tra società aperta e chiusa.

Prima dei fatti un veloce inquadramento generale: il 24 gennaio scorso il gruppo americano, tutt’altro che in crisi, ha annunciato la chiusura dell’impianto, nel giugno dell’anno prossimo, in vista di un trasferimento dellasua produzione di asciugatrici a Lodz, in Polonia. Ovviamente per avantaggiarsi di un costo del lavoro più basso. I posti di lavoro a rischio – tra diretti e indiretti – sono circa 600. In una zona, la provincia della Somme, ad alto tasso di disoccupazione (11,7% e 13% nell’area urbana del capoluogo). E che già ha vissuto alcuni shock importanti come la chiusura di Continental e di Goodyear. Il dossier Whirlpool ha quindi assunto un carattere di particolare emblematicità (come fu per esempio nel 2012 quello del sito ArcelorMittal di Florange).

Nella tarda mattinata il centrista Macron, nato peraltro ad Amiens, è arrivato in città per incontrare una delegazione sindacale della società presso la Camera di commercio. Mentre la riunione era in corso, la Le Pen, con un’operazione di marketing politico di rara abilità, ha raggiunto – solo ufficialmente a sorpresa, perché in realtà i militanti del Front National erano presenti sul posto fin dalla prima mattina, a preparare il terreno - i picchetti dei lavoratori davanti alla fabbrica.

Per denunciare «l’atteggiamento sprezzante di Macron» nei confronti dei lavoratori. E annunciare, come ha poi confermato con un comunicato, che in caso di vittoria lo stabilimento sarà nazionalizzato in attesa di un progetto d’acquisto in grado di garantire i livelli occupazionali. Non solo: che sulle importazioni dei prodotti Whirlpool realizzati negli impianti delocalizzati sarà applicata una tassa del 35 per cento. Applausi, sorrisi, selfie con la candidata dell’estrema destra. La quale ha ovviamente preso in contropiede l’ex ministro dell’Economia, che ha cambiato programma e pure lui è andato a incontrare i dipendenti di Whirlpool in sciopero. Accolto da fischi, slogan ostili, grida «Marine présidente», è comunque riuscito a ingaggiare una lunga discussione con i lavoratori, prima in un clima di grande tensione e poi più disteso . Ha cercato di spiegare, di convincere: «La chiusura delle frontiere è una menzogna, la globalizzazione non si può abolire per legge. Così come vietare chiusure e licenziamenti equivarrebbe ad allontanare gli investitori e aumentare la disoccupazione. Bisogna invece attrezzarsi, prepararsi, grazie soprattutto a un miglioramento della formazione delle competenze, per adattarsi al mondo che cambia».

Demagogia contro lucidità, insomma. Pedagogia contro strumentalizzazione.

L’impressione, alla fine, è che Macron – il quale ha registrato ieri il voto in suo favore dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, mentre il “pasionario” della sinistra Jean-Luc Mélenchon ha ribadito che non annuncerà la propria intenzione di voto - sia riuscito a recuperare, a non cadere nella trappola, nell’agguato della Le Pen. A evitare di regalare un vantaggio all’avversaria. Ma l’episodio dimostra, se ancora ve n’era bisogno, che la campagna sarà durissima. E che l’esito finale non è scontato. Tanto più se, com’è accaduto ieri, a fare danni ci si mettono alcuni presunti geni della politica quali Jacques Attali – sostenitore della prima ora di Macron – il quale ha dichiarato che «episodi aneddotici come quello di Amiens non devono condizionare la campagna». Costringendo i dirigenti di “En Marche!” a zittirlo pubblicamente.

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