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israele e palestina

Trump a Abbas: «Sarò mediatore, arbitro e facilitatore» per la pace

New York - Un vertice per far ripartire il paralizzato processo di pace palestinese. Oppure soltanto per sognarlo. Donald Trump ha ricevuto il leader dell’autorità palestinese Mahmoud Abbas, dopo aver ospitato alla Casa Bianca nei mesi scorsi il primo ministro di Israele Benjamin Natanyahu. Segno, nelle intenzioni, che la nuova amministrazione americana è seria negli sforzi di rimattere in carreggiata le trattative sulla lunga crisi mediorientale. Ma non abbastanza per garantire che qualcosa si muoverà davvero.

Al termine di colloqui in mattinata alla Casa Bianca, Trump e Abbas hanno rilasciato dichiarazioni davanti ai giornalisti. «Sarò un mediatore, un arbitro e un facilitatore» per aiutare la pace tra israeliani e palestinesi, pur riaffermando che un accordo può essere raggiunto solo direttamente dalle parti in causa. E ha invitato i leader palestinesi a «parlare con una sola voce contro l'incitamento dalla violenza e all'odio». Abbas ha risposto di credere che Trump abbia «la determinazione e il desiderio di vedere risultati e successi», ribadendo il suo sostegno ad una soluzione che preveda due stati nell'area e una capitale palestinese a Gerusalemme Est.

Ai colloqui hanno preso parte il vicepresidente Mike Pence, il Consigliere per la sicurezza nazionale HR Mcmaster, il Segretario di Stato Rex Tillerson, l’inviato in Medio Oriente Jason Greenblatt, il confidente e genero Jared Kushner, che ha in portafoglio la supervisione dei negoziati israelo-palestinesi, il capo di staff Reince Priebus e lo stratega Steve Bannon.

Trump, di sicuro, è a caccia di credibilità in politica estera, tuttora considerata il suo tallone d'Achille e prona a prese di posizione d’istinto con apparente scarsa preparazione, dalla Corea del Nord alla Siria. Successi anche limitati su una questione intrattabile come il conflitto israelo-palestinese potrebbero risultare un colpo a effetto. Abbas, da parte sua, appare oggi un leader indebolito e controverso tra gli stessi palestinesi bisognoso di sostegno e risultati. Con Trump ha vestito i panni di «partner strategico per la pace», nelle parole del suo rappresentante negli Usa, Husam Zumlot.

I protagonisti del rebus palestinese appaiono tuttavia ancora molto incerti davanti alla nuova Casa Bianca e alle sue posizioni in evoluzione. Negli ultimi giorni l’organizzazione radicale Hamas è parsa rimuovere dai suoi precetti la chiamata esplicita alla distruzione dello Stato di Israele e rotto i legami con i Fratelli Musulmani, forse in un doppio gesto per sfruttare eventuali aperture di Trump e migliorare i rapporti con l'Egitto e altri paesi del Golfo anche se respinto come ingannevole sia da Israele che dai rivali palestinesi di Fatah guidati appunto da Abbas.

Il Presidente americano, in poco più di cento giorni alla Casa Bianca, ha fatto notizia prima mostrando un sostegno indiscriminato per Israele e condannando le critiche rivolte dal suo predecessore Barack Obama a Netanyahu, culminate in una risoluzione di condanna della costruzione di nuovi insediamenti israeliani nei territori occupati passata grazie all'astensione di Washington. Poi ha però definito simili insediamenti nei fatti come un ostacolo a soluzioni pacifiche.

È parso mettere in discussione il cardine da decenni della politica americana e internazionale, l'obiettivo di di due stati indipendenti, uno palestinese. Ma ha anche fatto marcia indietro sull'iniziale promessa di trasferire immediatamente l'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme per riconoscere la città quale capitale dello stato ebraico. Il vicpresidente Pence oggi ieri ha indiocato che Trump sta “considerando seriamente” lo spostamento dell’ambasciata, una decisione che deve essere èresa entro il primlo giugno per la scadenza di un rinvio periodico del trasloco.

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