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La strategia Usa, business e una Nato araba

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La strategia Usa, business e una Nato araba

  • –Roberto Bongiorni

Difficile pensare ad una coincidenza. L’importante visita che il presidente americano farà a Riad per partecipare al summit arabo-americano (20-21 maggio) è iniziata ieri, proprio nel giorno in cui, sull’Altra sponda del Golfo, si svolgevano le elezioni presidenziali in Iran.

In questo vertice a cui accorreranno 37 capi di Stato e almeno sei premier di Paesi musulmani, Donald Trump dovrebbe ufficializzare il sostegno degli Stati Uniti ad un piano che gli Ayatollah iraniani vedono come il fumo negli occhi: la formazione di una “Nato araba” guidata da Riad a cui potrebbero aderire – si augurano i sauditi- 32 Paesi. Al centro dell’agenda -fittissima - c’è anche il tema della lotta al terrorismo, un cavallo di battaglia del neo presidente americano. Il quale, oggi, il giorno prima del suo attesissimo discorso sull’Islam, ne approfitterà, insieme a grandi imprenditori americani al seguito, per cercare di firmare remunerativi accordi economici bilaterali, tra cui un contratto di fornitura di armi ai sauditi di oltre 110 miliardi di dollari ed altri business nei settori della chimica, dell’energia e della chimica.

Con questa visita Trump sceglie la sua strategia in Medio Oriente; portare dalla sua parte le ricche monarchie sunnite del Golfo e mettere nell’angolo l’Iran, Paese verso cui ha sempre nutrito un'accesa diffidenza. Si sancisce così un altro punto di rottura tra l’Amministrazione Trump e quella del suo predecessore. Proprio durante la presidenza di Barack Obama le relazioni tra Stati Uniti ed Arabia avevano toccato il fondo soprattutto quando gli Stati Uniti, nel settembre del 2013, rinunciarono all’ultimo momento a un raid contro il regime siriano, accusato di aver usato armi chimiche, e firmarono due anni dopo un accordo sul nucleare con l’Iran. Per l’Arabia, roccaforte sunnita e rivale dell’Iran sciita, si era trattato di un tradimento, perpetrato da uno storico alleato.

L’idea saudita di costruire un’alleanza sull’impronta della Nato non è una novità. Gli Stati Uniti, però, avevano preferito non sbilanciarsi . Ora Trump vuole correre ai ripari e tappare le falle aperte durante le prime settimane della sua presidenza. La sua visita a Riad costituirà l’opportunità – così sperano i suoi consiglieri - per provare a superare le accuse di islamofobia che gli sono piovute addosso dopo le sue poco diplomatiche dichiarazioni e dopo il controverso embargo che vietava i visti di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette Paesi arabi (ridotti poi a sei) perché a rischio terroristico. Lista da cui però è stata esclusa l’Arabia Saudita, i cui estremisti negli ultimi 20 anni hanno costituito l’ossatura delle più feroci organizzazioni terroristiche islamiche, da al-Qaeda all’Isis.

C’è molto attesa per il discorso di domenica sull’Islam. Trump ha reso noti i contenuti: «iniziare a costruire una nuova collaborazione e sostegno con i nostri alleati musulmani per combattere l’estremismo, il terrorismo e la violenza ed accettare un più giusto e fiducioso futuro per i giovani musulmani nei loro Paesi».

Sull’onda dell’euforia i sauditi ripongono grandi aspettative Tanto da aver costruito un sito molto curato la cui pagina di apertura è eloquente: “Summit arabo islamico-americano. Un summit storico, un futuro più luminoso”. Non si parlerà tuttavia solo di politica e di lotta al terrorismo. Trump vuole approfittarne del vertice per trarre dei vantaggi economici. Se tutto procederà nella direzione auspicata dalla Casa Bianca, i vantaggi per gli Stati Uniti non saranno irrilevanti. Innanzitutto l’onere economico-militare si sposterà sui paesi alleati, disimpegnando in parte le forze armate degli Stati Uniti. Gli Usa saranno quindi meno coinvolti. Spenderanno meno e guadagneranno di più. I ricchi alleati del Golfo devono armarsi, e presumibilmente, se verrà formalizzato un sostegno alla “Nato araba”, è plausibile che accrescano i loro contratti di fornitura di armi dagli Usa.

Il pacchetto, che prevede la consegna di aerei militari, navi, e sistemi missilistici, dovrebbe essere finalizzato oggi, anche se in parte era stato autorizzato dall’Amministrazione di Obama. Il valore si aggirasui 110-12o miliardi. Armamenti che verranno utilizzati anche nella campagna militare in Yemen, dove i risultati contro i ribelli filo-iraniani sono stati deludenti, mentre il bilancio delle vittime civili provocate dai bombardamenti sauditi è drammatico.

Domani Trump parlerà al mondo musulmano di tolleranza tra i popoli, di rispetto per le religioni e di pace. Forse oggi non è la sede opportuna, né il giorno, per firmare contratti di armi. Ma nella dottrina trumpiana - “America First” - il business sembra prevalere su tutto.

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