Dopo l'ennesimo eurogruppo sul debito greco, andato a vuoto a Bruxelles dopo sette ore di discussioni fino a mezzanotte, tra la Germania che vuole il Fmi a bordo ma senza tagliare il debito, il Fondo monetario che vuole un debito «sostenibile» per entrare in partita altrimenti resta fuori, e gli altri partner che non sanno più cosa fare, la questione di Atene sembra un tela di Penelope dove si disfa di notte quello che si è tessuto di giorno.
Dopo tanti mesi di trattive siamo ancora in stallo. L'editoralista Yannis Koutsomitis, del quotidiano Greco Eleftheria tou Typou, ha chiesto in un suo editoriale al presidente dell'eurogruppo Jeroem Dijsselbloem, se potrebbe far sapere ai greci, cosa potrebbe accadere loro nella malaugurata ipotesi che non si dovesse trovare un compromesso con il Fmi nella prossima riunione. L'eurozona farebbe andare in default la Grecia? La domanda non è oziosa visto che tutti rassicurano che un accordo si troverà, ma intanto si avvicina il momento del pagamento dei sette miliardi di euro di crediti a luglio.
La Grecia e il suo governo ritiene che il mancato compromesso sull'alleggerimento del debito, tema rinviato dall'Eurogruppo alla riunione di giugno fra tre settimane, sia dovuto all'intransigenza tedesca.
Senza Fmi, niente salvataggio
Il punto controverso riguarda la partecipazione del Fondo monetario al pacchetto di salvataggio, che per la Germania resta una condizione fondamentale. Dopo una discussione di sette ore, i ministri finanziari hanno deciso di prendersi ancora tre settimane per proseguire il negoziato. Il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha detto che un accordo «è vicino». Mentre la Germania esclude una decisione sull'alleggerimento del debito prima delle sue elezioni di fine settembre, il Fmi ritiene che il debito sia insostenibile se non si allontana da un livello che sfiora il 180% del Pil.
Lo scorso maggio l'Eurogruppo indicò che sarebbero stati concordati estensione delle scadenze dei prestiti e periodi di grazia per gli interessi con l'obiettivo di limitare i bisogni di finanziamento alla Grecia sotto il 15% del Pil dopo il 2018 e sotto il 20% negli anni successivi. Il Fondo monetario vuole dettagli in più sui conti relativi e la durata del periodo di grazia. Ma la Germania resiste a decidere prima delle elezioni, mentre Atene resta ostaggio di questa lite infinita tra Fmi e Berlino.
La situazione ad Atene
Sono passati due anni e mezzo sotto il Partenone dopo la vittoria alle politiche del 25 gennaio 2015 della sinistra radicale di Syriza, ma sembra passato un secolo, dopo il voto sulla Brexit, l'elezione negli Stati Uniti di Donald Trump, il “no” al referendum costituzionale italiano, la vittoria di Emmanuel Macron in Francia. Il mondo è cambiato e in qualche modo Atene, due anni fa, aveva anticipato la tempesta perfetta in arrivo della protesta della classe media stremata e arrabbiata per gli effetti delle politiche di austerità, dei colpi di coda della globalizzazione/delocalizzazione e dell'immigrazione selvaggia. Solo che ad Atene la risposta politica era stata di segno opposto (un voto a sinistra dei maggiori partiti storici) rispetto a quello che poi è avvenuto nel resto del mondo. Un voto parzialmente tradito da una massiccia dose di austerità e realismo per restare agganciati al carro dell'euro.
Due anni e mezzo di Tsipras
Il premier greco Alexis Tsipras ha raggiunto il traguardo dei due anni e mezzo al governo con rielezione a settembre 2015 e un margine parlamentare esiguo di soli tre deputati, e alla fine di questo lungo e travagliato periodo scosso da referendum popolari poi messi nel cassetto, ha promesso che «neanche un euro» verrà da nuove misure di austerità, ma nella vita quotidiana non è andata proprio così. Pragmaticamente Alexis Tsipras a luglio 2015 decise di “dimettere” il controverso ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, di sostituirlo con il realista Euklid Taskalotos pronto ad accettare il terzo pacchetto di aiuti Ue, che si concluderà nel 2018, e dosi di austerità.
Atene, in cambio dei finanziamenti dell'Esm, si è impegnata a varare una serie di pesanti misure di austerità su pensioni e fisco e riforme strutturali. Molto è stato approvato ma l’eurogruppo ha fatto notare che su 140 azioni prioritarie 25 sono ancora in sospeso. Molto ancora resta da implementare mentre il governo non brilla più nei sondaggi e i dipendenti della sanità pubblica, scesi in sciopero per i tagli, hanno manifestato contro il governo accusando il premier Tsipras e il suo partner nazionalista, Panos Kammenos, di essere entrambi dei “Pinocchio”. Accuse dure da digerire per un governo di sinistra radicale, che però ha dovuto accettare la medicina amara della austerità.
Tensioni in piazza
La prima stangata della riforma delle pensioni annunciata nel 2015 da Alexis Tsipras prevedeva la fine dell' Iva agevolata per le isole più svantaggiate e il dodicesimo taglio alle pensioni con la riduzione a 2.300 euro dell'ammontare mensile massimo (da 2.700 euro) e una pensione minima con almeno 15 anni di contributi ridotta a 384 euro (-15%). Anche una indennità speciale che aumentava le pensioni minime è stata abolita tra le proteste di piazza. Poi è toccato agli agricoltori che a fine 2015 e 2016 hanno bloccato le maggiori vie di accesso del paese per protesta contro il nuovo regime fiscale che, riducendo le esenzioni, aumentava le tasse. Ma sul piede di guerra sono finiti anche notai, farmacisti, camionisti e i pubblici dipendenti. Tutti uniti contro la riforma previdenziale che ha previsto un nuovo taglio del 15 % delle pensioni.
Poi sono arrivate le misure sui prestiti in sofferenza, che hanno consentito di mettere sul mercato con più facilità gli immobili ipotecati, una misura però molto contestata dai sindacati. Le misure facevano parte del piano richiesto dalla troika (Ue, Fmi e Bce) in cambio del piano di aiuti da 86 miliardi di euro negoziato a luglio 2015.
La seconda tranche di misure di austerità, per un totale di 4 miliardi di euro sono state approvate nella notte tra il 18 e il 19 maggio con 153 voti a favore del partito di sinistra radicale Syriza e del suo partner minore di coalizione, i greci indipendenti di Panos Kammenos, che hanno assicurato con disciplina spartana la maggioranza nel Parlamento composto da 300 seggi. Non ci sono state defezioni e tutti hanno inghiottito il boccone amaro.
Tra le misure approvate il 18 maggio ci sono nuovi tagli alle pensioni per un importo pari all'1% del Pil, che entreranno in vigore nel 2019.
Il tredicesimo taglio
Questo è il tredicesimo taglio alle pensioni da quando la Grecia è entrata nei tre programmi di salvataggio che si sono susseguiti dal 2009 con una ristrutturazione del debito in mano ai privati per il 50% del valore facciale dei bond pari a 200 miliardi di euro. Il governo si è impegnato anche ad aumentare dell'1% del Pil le entrate fiscali nel 2020 riducendo il limite di esenzione dell'imposta sul reddito personale. Il provvedimento prevede tagli pari al 2% del Pil con un intervento — appunto il tredicesimo della serie — di riduzione delle pensioni del 2019 e l'abbassamento della soglia di reddito esentasse nel 2020. Le misure comprendono altre riforme sul lavoro e del mercato dell'energia e nuove privatizzazioni, così come anche misure volte ad agevolare la vendita degli Npl delle banche greche.
Il «bacio» di Schauble
Ma il riconoscimento maggiore per Tsipras è giunto dal suo acerrimo nemico: il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble in una intervista a un giornale italiano ha detto: «Se un Paese non vuole uscire deve fare riforme strutturali, come la Grecia. Con l'euro è finita l'era in cui alcuni Paesi restavano competitivi attraverso la svalutazione delle monete». Un elogio che suona come un epitaffio per Tsipras eletto per combattere l'austerità e finito per trasformarsi in un seguace della realpolitik dell'eurozona. La doccia fredda del rinvio all'eurogruppo del 22 maggio 2017 proprio non ci voleva per l’esecutivo che voleva sconfiggere l’austerità e invece ne è stato l’alfiere.
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