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La fune della May e l’equilibrio da trovare

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L'Editoriale|londra e brexit

La fune della May e l’equilibrio da trovare

Nelle urne di Londra non è morta la Brexit, ma ci ha finalmente lasciati l’ideologia della Brexit con tutto l’armamentario teorico che l’accompagnava.

Il più evidente impatto globale delle elezioni nel Regno Unito nasce dalla bocciatura, oltre ogni aspettativa, del progetto di Theresa May, a caccia di un plebiscito per giocarsi, liberamente, il divorzio anglo-europeo che annunciava di volere hard, anzi estremo. Ha fallito, pur vincendo la maggioranza relativa dei seggi.

È un successo, ma non una vittoria - per converso - l’inattesa affermazione dei laburisti d’antan di Jeremy Corbyn. Un britannico su quattro circa, anche nel ricco sud del regno, ha votato, infatti, per un programma che prevede nazionalizzazioni, rialzo della tassazione sulle imprese, ritorno della spesa pubblica, ma che chiede anche una Brexit meno ultrà di quella dei Tory, come Jeremy Corbyn suggerisce.

Visto con la sola lente del distacco dall’Unione il voto di giovedì segna, quindi, la vittoria di chi ha intuito che lo slogan «meglio nessun accordo che un cattivo accordo» sbandierato da Theresa May era una trappola mortale. Non c’è peggior accordo di un tavolo lasciato vuoto.

Meno evidenti sono le conseguenze di quanto accadrà ora, alla vigilia del primo appuntamento per il via alle trattative formali Londra-Bruxelles. È minimalista il commissario Ue Pierre Moscovici quando dice che il nuovo assetto britannico «avrà un impatto sullo spirito dei negoziati», che, cioè, Theresa May non potrà presentarsi a Bruxelles con la protervia di questi mesi.

Battendo, magari, i pugni sul tavolo e dicendo «non pagheremo niente, non pagheremo nessuno», nemesi dello storico «I want my money back» di Margaret Thatcher. Lo scenario, infatti , è cambiato in modo assai più radicale di una semplice mutazione di spirito e variazione d’umore: la Brexit radicale, intesa come distacco dal mercato interno e dall’unione doganale, è tornata in discussione. Il fragile governo che Theresa May ha in animo di presiedere non potrà non tenere conto che le prime elezioni dopo il referendum del giugno 2016 hanno bocciato la linea dura e promosso gli oppositori, uniti da un approccio soft alla secessione dall’Ue. E anche se vorrà fingere che sia business as usual non potrà farlo perché il Parlamento non glielo consentirà.

Il ritorno della centralità di Westminster nel processo della Brexit è, pertanto, l’elemento più importante di quanto accaduto l’altro ieri. Una buona notizia per chi ha seguito con passione le convulsioni dell’anno passato, segnato da ripetuti appelli alla Corte suprema alla ricerca di un assetto costituzionale mai scritto in questo Paese. Sarà la Camera dei Comuni a scrutinare l’azione della signora premier che non potrà contare su quel sostegno assoluto che cercava. Marcerà su una fune tesa fra tre sponde, brexiters, hard brexiters e remainers, dovrà scendere a compromessi, dovrà mediare, dovrà fare, cioè, quanto giurava di non volere fare. Una dinamica che, in ultima istanza, complicherà le trattative con l’Unione europea chiamata a misurarsi una volta di più con l’eterna dicotomia britannica, con le incertezze di un Regno europeo e atlantico al tempo stesso.

L’euro-schizofrenia di Londra, dunque, piomberà a Bruxelles e questa, a differenza delle precedenti, non è affatto una buona notizia. Né per la Gran Bretagna né per i Ventisette, costretti a misurarsi con un leader dimezzato come già ambienti Tory dipingono Theresa May, prossima, secondo molti a un golpe di palazzo.

La cronaca dirà, ma fin d’ora è possibile immaginare un ostacolo preciso sul cammino del negoziato: l’Ulster. La coalizione con il Dup, forza unionista e protestante fondata dal reverendo ultrà Ian Paisley, esporrà il governo Tory a un costante ricatto sulle dinamiche che la Brexit innescherà in Irlanda del nord, indebolendo, ulteriormente, una leader ad alto tasso di fragilità. Determinata a procedere come se nulla fosse accaduto, apparentemente inconsapevole che nulla sarà come prima perché se la Brexit potrà sopravvivere i suoi ideologi sono stati cacciati l’altra notte per volontà popolare.

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