Che il rapporto tra i paesi membri dell’Unione sia stretto, tanto stretto da prevedere due anni di negoziati per il divorzio, si sapeva. Ciò detto, un documento pubblicato ieri a Bruxelles ha messo nero su bianco l’impensabile rete di istituzioni comunitarie che legano Londra a Bruxelles. Non una, non dieci; ma oltre 70. Nel lasciare l’Unione, il Regno Unito sarà chiamato a uscire da una lunga serie di istituzioni, enti, agenzie e altre organizzazioni comunitarie.
La lista ha dell’incredibile: Bruxelles e Londra dovranno negoziare l’uscita del paese da 11 istituzioni e organismi consultivi, a cui si aggiungono 6 istituzioni fuori bilancio; 6 agenzie esecutive; 34 agenzie decentralizzate a cui si aggiungono altre due entità speciali; 8 joint ventures; 3 fondi, di cui 2 fondi fuori bilancio; 1 fondo associato, e 4 fondi fiduciari. Per ogni ente e istituzione, i diplomatici dovranno negoziare gli aspetti finanziari e i nodi giuridici dell’uscita.
Molti degli organismi sono noti: dalla Banca centrale europea alla Banca europea per gli investimenti, dall’Autorità bancaria europea alla stessa Commissione europea. Ma altri sono assai meno conosciuti. Vi sono agenzie esecutive nel campo dell’istruzione e della salute. Agenzie decentralizzate nel settore della sicurezza marittima, delle ferrovie, della pesca o dei prodotti chimici. Non manca neppure un Istituto europeo per l’innovazione e la tecnologia, per non parlare di 14 scuole europee in 7 paesi.
Tra le joint ventures, il Regno Unito partecipa a programmi dedicati all’industria biologica, alle celle a combustibile, ai medicinali innovativi. Tra i fondi fiduciari, ve ne è uno dedicato alla Siria, un altro votato alla Colombia, e altri due indirizzati all'Africa. I lettori più scettici sui benefici della costruzione comunitaria saranno rassicurati dal fatto che la Comunità del carbone e dell’acciao (la CECA), che ha visto la luce nel 1951, esiste ancora, ma è in liquidazione.
Nel documento pubblicato ieri, la Commissione europea precisa che «i conti dovranno essere effettuati in euro e che tutti i pagamenti del Regno Unito dovranno essere fatti in euro». Fonti di stampa, mai confermate, stimano il conto finale tra i 40 e i 60 miliardi di euro. Ieri l’esecutivo comunitario ha ricordato che «l’obiettivo dei rimborsi deve essere di mitigare l’impatto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione sul bilancio europeo e su quello dei paesi membri».
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