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Google, multa Ue da 2,42 miliardi

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Europa

Google, multa Ue da 2,42 miliardi

  • –Beda Romano

Francoforte

Come anticipato negli scorsi giorni, la Commissione europea ha annunciato ieri una multa miliardaria ai danni di Alphabet, la casa madre di Google: 2,42 miliardi di euro. La società americana è ritenuta responsabile di avere abusato della propria posizione dominante, favorendo su Internet i propri servizi di Google Shopping. Finora, l’ammenda più elevata contro una società per un caso antitrust europeo era stata di 1,06 miliardi di euro, inflitta nel 2009 al produttore di microprocessori Intel.

«Google – ha detto la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager – è all’origine di un grande numero di prodotti e servizi innovativi che hanno cambiato la nostra vita. Ciò è positivo. Ma la sua strategia relativa al servizio di confronto dei prezzi non si è limitata ad attirare clienti, rendendo i suoi prodotti migliori di quelli dei suoi concorrenti. Google ha anche abusato della sua posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca, favorendo il proprio servizio».

La signora Vestager ha parlato di comportamento «illegale». Nei fatti, attraverso il servizio Google Shopping, la società offre ai propri utenti un servizio che mette a confronto i prezzi dei prodotti oggetto di una ricerca su Internet. Durante una ricerca dal portale Google, il servizio Google Shopping è al primo posto, relegando più in basso nella pagina gli altri servizi di confronto tra i prezzi sul mercato. Il servizio di confronto genera per il portale proventi da pubblicità e commissioni.

Nella sua decisione di ieri, la Commissione ha fatto notare che tendenzialmente, nel 95% dei casi, un utente di Internet sceglie tra le opzioni della prima pagina di una ricerca. «I risultati in cima alla pagina vengono cliccati il 35% delle volte», ha spiegato l’esecutivo comunitario qui a Bruxelles. Secondo la Commissione, Google ha quindi abusato di una posizione dominante. Il servizio di confronto dei prezzi esiste attualmente in 13 paesi dello Spazio economico europeo, tra cui dal 2011 l’Italia.

Nel caso non rispettasse la decisione entro 90 giorni, la società americana sarebbe chiamata a pagare un ammenda pari a 12 milioni di dollari al giorno. Mentre Google ieri pomeriggio protestava, dicendosi «rispettosamente in disaccordo», l’associazione imprenditoriale FairSearch reagiva positivamente: «Si tratta di un precedente importante che la Commissione potrà utilizzare immediatamente per impore la libera concorrenza».

Criticando la decisione, il vice presidente di Google Kent Walker ha spiegato: «Crediamo che i risultati di commercio online sono utili e sono migliori rispetto alle pubblicità scritte di 10 anni fa». Un ricorso è possibile, non ancora certo. La multa è elevata, ma non creerà problemi a una società che ha liquidità per 90 miliardi di dollari. La decisione si basa su 5,2 terabyte di dati. «Avrei bisogno di 17mila anni per leggervi tutte le carte», ha detto la signora Vestager ai giornalisti.

La decisione relativa a Google giunge meno di un anno dopo che lo stesso esecutivo comunitario ha chiesto ad Apple di rimborsare al governo irlandese oltre 13 miliardi di euro di tasse non versate per via di un accordo fiscale (tax ruling) che l’esecutivo comunitario ha ritenuto illegittimi aiuti di Stato. Il rischio è di assistere a un aumento del nervosismo tra Washington e Bruxelles. I rapporti sono già resi difficili dalle nuove tendenze protezionistiche americane.

Nella sua conferenza stampa, la commissaria ha respinto le accuse secondo le quali vi sarebbe da parte di Bruxelles un accanimento contro gli interessi americani: «Ho guardato le statistiche. Non vedo alcun fatto che sostenga l’ipotesi di un trattamento differenziato». Al di là del caso Apple, di recente la Commissione ha inflitto una multa anche ai danni di Facebook per non avere trasmesso informazioni complete al momento dell’acquisizione di WhatsApp.

La signora Vestager ha poi ricordato sempre ieri che Google è ancora sotto indagine in altri due dossiers. Il primo riguarda la sua piattaforma pubblicitaria AdSense; la seconda è relativa al suo sistema di funzionamento degli smartphone Android. Quest’ultimo caso potrebbe rivelarsi ancor più clamoroso, alla luce dell’importanza che il programma informatico ha in molti telefoni cellulari in giro per il mondo.

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