«Oggi la causa della pace in Libia ha fatto un grande progresso. Voglio ringraziarvi per gli sforzi fatti». Il presidente francese Emmanuel Macron ha ottime ragioni per esultare. Il vertice sulla Libia organizzato a Parigi si è concluso con uno storico accordo.
I due rivali (e uomini simbolo della Libia), il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli, Fayez Sarraj, e il comandante dell’Esercito nazionale libico Khalifa Haftar, hanno deciso di deporre le armi. Riuniti in un faccia faccia nel castello di La Celle-Saint-Cloud, alle porte di Parigi, in presenza dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassan Salamé, Sarraj e Haftar hanno adottato una dichiarazione congiunta che riporta la speranza sull’avvenire del Paese. Due i punti principali: il cessate il fuoco e le elezioni politiche , come ha sottolineato Macron, che si svolgeranno «la prossima primavera».
Rivolgendosi a Sarraj e a Haftar, Macron ha precisato. «Oggi vi siete impegnati a rinunciare alla lotta armata, tranne quella che riguarda i gruppi terroristici, lavorerete per elezioni presidenziali e parlamentari. Tramite questo cammino la pace e la riconciliazione nazionale potranno essere ricostruite».
Il presidente francese era un fiume in piena. «Il popolo libico merita la pace», ha detto. «Il Mediterraneo ha bisogno di questa pace». «È un imperativo».
La soddisfazione è dunque giustificabile, ma la cautela è d’obbligo. Lo ha compreso bene Macron. «Molto è stato fatto, ma molto resta da fare», ha aggiunto il presidente, assicurando ai due leader antagonisti della Libia che farà «di tutto per accompagnare i vostri sforzi nella riconciliazione e per lottare con efficacia contro il terrorismo».
Occorrerà vedere – e non è scontato - se agli impegni seguiranno i fatti.
La Libia è ancora un paese non solo spaccato in due tra Tripolitania e Cirenaica, le due zone dove comandano rispettivamente Sarraj e Haftar, ma anche dilaniato da centinaia di milizie armate e tribù che forgiano alleanze temporanee. Oltre a gruppi criminali che gestiscono il drammatico ma remunerativo business della tratta di esseri umani. Senza il coinvolgimento di tutte le tribù, senza il disarmo di buona parte delle milizie, la pace rischia di essere solo un annuncio.
Un discorso simile vale anche per le elezioni . L’ultima volta che il popolo libico ha votato è stato nel giugno del 2014. E non si è trattato di un’elezione facile. Tutt’altro. L’affluenza è stata bassa, ed il voto non è stato riconosciuto da buona parte della popolazione come rappresentativo. Tanto che due mesi dopo una coalizione di milizie islamiche conquistava Tripoli insediando un Governo ombra.
Haftar e Serraj sono rivali. Non è un segreto che il potente generale sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi, ma che gode delle crescenti simpatie della Russia, ambisca a divenire il nuovo leader dell'ex regno Gheddafi. E non è un segreto che Serraj voglia mettere fine a quel Governo della Cirenaica, non riconosciuto dalle Nazioni Unite, che tutt’ora controlla diversi giacimenti petroliferi della Libia.
Non sarà facile avviare il cammino della pace. E l’Italia sarà chiamata ancora una volta a svolgere un ruolo di primo piano. Il fatto che non via sia stata una delegazione italiana a Parigi non ha certo giovato al ruolo, comunque molto impegnativo, che l’Italia si finora è assunta per stabilizzare la Libia.
Il presidente francese ha voluto ribadirlo. “Voglio ringraziare, in particolare l’Italia, il mio amico Paolo Gentiloni, che ha molto lavorato» per arrivare alla dichiarazione congiunta di oggi sulla Libia. «Non esistono divergenze tra la posizione italiana e la posizione francese. È un lavoro in comune che facciamo anche con l’Unione europea».
L’Italia resta comunque un punto di riferimento. Lo conferma la visita che il premier del Governo di Accordo Nazionale della Libia, Fayez al-Sarraj farà domani a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
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