roma
È costretto a guardare avanti, alla prossima riforma che il Parlamento dovrà votare, alla successiva misura contro la corruzione, alla riorganizzazione della macchina dello Stato. Vive, per necessità, ogni problema come una sfida: «Per non togliere forza al rinnovamento. Dobbiamo diventare un Paese che attrae investimenti, che favorisce chi vuole fare impresa», tenendo fermo l’obiettivo di entrare nell’Unione, «una scelta, quella europea, fatta una volta per tutte dall’Ucraina con la “rivoluzione della dignità” nel 2014».
Oleksandr Danyliuk è dall’anno scorso ministro delle Finanze ucraino. Classe 1975, famiglia di scienziati, laurea in ingegneria, Mba negli Usa, dopo alcune esperienze nei fondi di investimento e alla McKinsey, Danyliuk ha in mano le leve economiche di un Paese in guerra con i separatisti filorussi, nel quale ancora resistono poteri e strutture ereditati dal passato sovietico. «Tre anni fa - spiega - eravamo in una situazione disastrosa, poi anche con l’aiuto dell’Fmi e della Ue siamo tornati a respirare».
Cosa è cambiato in Ucraina negli ultimi tre anni?
Quella della Russia, con l’annessione della Crimea e poi il sostegno ai separatisti, non è stata solo un’aggressione militare ma anche un attacco diretto alla nostra economia. In poche settimane, nel 2014, abbiamo perso il 25% del potenziale industriale e ci è stato tolto il 20% del Pil. Abbiamo dovuto rimpiazzare rapidamente la Russia che era il nostro secondo partner commerciale. Siamo stati obbligati a ricostituire le nostre riserve valutarie, scese da oltre 20 miliardi a 5 miliardi di dollari. L’inflazione era schizzata al 60%, il bilancio fuori controllo.
Poi cos’è accaduto?
Siamo riusciti a gestire con serietà la crisi e abbiamo avviato un percorso credibile di riforme. Il sostegno politico della Ue e degli Usa e gli aiuti finanziari dell’Fmi sono stati decisivi. L’economia è tornata a crescere. Chiuderemo il 2017 con un deficit del 3% mentre il debito è vicino al 90% del Pil, a causa di alcuni interventi straordinari come quello nel settore bancario. Gli aiuti dell’Fmi che abbiamo fin qui ricevuto, nel bailout da 17,5 miliardi di dollari, sono stati utilizzati per ripristinare le riserve valutarie che oggi sfiorano i 18 miliardi di dollari.
Quali risultati avete ottenuto dalle riforme?
Dal 2014 abbiamo spinto sul decentramento delle competenze amministrative, ottenendo vantaggi in termini di semplificazione normativa e di efficienza. Abbiamo poi rivisto la politica energetica, per sganciarci dalla Russia, diversificando, rivedendo le tariffe: nel gas siamo passati da una perdita annua di 1,3 miliardi di dollari a un profitto di un miliardo di dollari. Al risanamento dei conti è seguita, per la prima volta, una programmazione fatta seguendo le linee di un bilancio triennale. Abbiamo di fatto nazionalizzato PrivatBank, la maggiore banca del Paese, togliendo la proprietà a due oligarchi tra i più influenti del Paese, con interessi politici e nei media.
Il programma dell’Fmi prevede aiuti in cambio di riforme, siete in ritardo?
Sulle pensioni abbiamo concordato tempi e modi di un nuovo regime sostenibile, anche socialmente, che dovrebbe entrare in vigore nei prossimi tre mesi. Il Fondo preme per la riforma degli organismi di contrasto a corruzione, reati finanziari e frodi fiscali: è questo il motivo della mia missione a Roma. Stiamo definendo un sistema in cui un’unica agenzia - che fa capo al ministero delle Finanze e che prende a modello la Guardia di Finanza italiana - sarà responsabile di indagini e intelligence finanziarie, polizia tributaria, dogane. Vogliamo un sistema più favorevole alle imprese che operano con correttezza.
Temete la corruzione dentro lo Stato?
Il sommerso vale almeno il 40% del Pil. L’attività delle imprese è compromessa da aste falsate, bandi e commesse poco trasparenti o anche da indagini lunghe e troppo discrezionali. Dobbiamo liberarci dell’eredità di numerose istituzioni che si sovrappongono e fanno le stesse cose generando così aree di inefficienza, abusi potenziali e corruzione. Serve un sistema anticorruzione focalizzato, unico e depoliticizzato.
L’elezione di Donald Trump ha cambiato qualcosa per l’Ucraina?
Con gli Usa la nostra agenda è molto pragmatica, la politica può cambiare ma gli interessi economici restano. Se guardiamo alle azioni concrete dell’amministrazione Trump possiamo solo dire due cose: il sostegno militare degli Usa non è mai stato in discussione; le sanzioni contro la Russia sono state confermate.
Qual è per l’economia ucraina la sfida più difficile dei prossimi anni?
Dobbiamo portare gli investimenti internazionali in Ucraina. Non possiamo fermare la guerra ma dobbiamo continuare nello sviluppo economico. Dobbiamo insistere nel migliorare le condizioni ambientali per il business. L’Ucraina ha un accordo di libero scambio con la Ue, abbiamo una situazione logistica molto favorevole e un costo del lavoro che non teme confronti. Possiamo seguire il percorso fatto dalla Polonia nello sviluppo economico. Ci sono molte differenze con Varsavia ma l’esempio è chiaro: le riforme vanno fatte senza ripensamenti. Solo così riconquisteremo credibilità e ripartiremo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA