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Il super-euro preoccupa la Bce

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Il super-euro preoccupa la Bce

  • –Riccardo Sorrentino

Una grande attenzione ai mercati, e alle loro reazioni. Il riassunto dei verbali - le “minute” - dell’ultima riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea confermano quanto era stato possibile dedurre dall’andamento della conferenza stampa di luglio: la discussione è stata dominata dalla preoccupazione di evitare che una cattiva comunicazione rendesse troppo rigide le condizioni finanziarie di Eurolandia vanificando gli sforzi della politica monetaria. «In vista dell’aumentata sensibilità dei mercati finanziari alle notizie, è stato considerato cruciale un approccio controllato alla comunicazione».

È così che è nata l’idea di annunciare per l’autunno la discussione sul futuro del quantitative easing: gli acquisti di titoli continueranno all’attuale ritmo di 60 miliardi al mese fino a dicembre. Dopo di che dovrebbe iniziare, ma con modalità ancora da definire, una riduzione che potrebbe essere anche molto graduale. La Bce ha anche deciso di non enfatizzare troppo un singolo elemento della propria strategia, come la durata del Qe, perché l’orientamento di politica monetaria continui a essere valutato nel suo complesso «e non in riferimento a un singolo strumento preso isolatamente».

La parola chiave della riunione sembra quindi essere overshooting, quello che avviene alle quotazioni quando vanno al di là di quanto i fondamentali giustifichino. Il timore riguarda soprattutto l’euro, che già a luglio era in rialzo per le ridotte incertezze politiche e per il ridimensionamento delle attese sulla stretta della Fed. Non è solo il cambio, però, a preoccupare: è il complesso delle condizioni finanziarie che deve restare allineato alle prospettive di inflazione.

Il rischio di overshooting nasce da più fattori. In primo luogo, come ha spiegato in apertura della riunione Benoît Cœuré, la situazione di bassa volatilità sui mercati «crea rischi di movimenti dei prezzi improvvisi e imprevedibili». La circostanza della migliorata situazione macroeconomica di Eurolandia ha già spinto verso l’alto tassi e rendimenti reali - non quelli nominali - e quindi il timore, almeno dal punto di vista della politica monetaria, è che ora i mercati vadano troppo oltre.

Nella discussione, dunque, «è stato sottolineato che condizioni finanziarie ancora favorevoli non devono essere considerate come garantite», mentre sono «necessarie» sia per la ripresa che per il ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2%. «C’è il rischio - è stata allora la conclusione del Consiglio - che le condizioni finanziarie possano irrigidirsi a un livello che non è giustificabile con il miglioramento delle condizioni economiche e le prospettive per l’inflazione». In questa situazione, il consiglio deve anzi «acquisire maggior spazio e flessibilità» per adattare il suo orientamento alla situazione concreta dell’economia.

Non è mancata un’obiezione: rinviare ogni decisione, è stato suggerito durante la discussione, potrebbe creare un disallineamento tra la valutazione delle condizioni dell’economia, che la Bce giudica buone, e la comunicazione sulla sua politica facendo scattare «una volatilità ancora più pronunciata» nel momento in cui occorrerà cambiare passo. Il consiglio - forse influenzato dalle ingiustificate reazioni dei mercati al discorso del presidente Mario Draghi di Sintra - ha però deciso di non inviare segnali che potrebbero apparire prematuri.

L’inflazione, infatti, tarda a rispondere alla ripresa. A luglio, come è stato confermato ieri da Eurostat, i prezzi sono saliti dell’1,3% annuo, con un indice core - costruito su un paniere che esclude alimentari, energia, tabacco e alcolici - in leggera accelerazione all’1,2%. I beni industriali non energetici, più sensibili alla concorrenza internazionale, sono rincarati del solo 0,5%, mostrando solo un lieve progresso rispetto ai mesi precedenti.

Anche alla Bce, come alla Fed, si è allora discusso sulla validità della curva di Phillips, la relazione tra l’andamento dell’occupazione (e quindi della crescita economica) e l’inflazione. I governatori non sono giunti al punto di dubitare della sua esistenza, come sarebbe forse stato opportuno (ma la relazione è empirica e va quindi verificata o confutata osservando i dati), ma si è ipotizzata una sua “rottura strutturale”, termine tecnico per indicare che sono radicalmente cambiate le sue caratteristiche statistiche. È stato quindi «considerato importante valutare l’intensità con cui i fattori» che frenano l’inflazione «siano transitori o permanenti».

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