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La convergenza sulle convenzioni è la strada maestra

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le ipotesi sul tappeto

La convergenza sulle convenzioni è la strada maestra

Olycom
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L’introduzione di una web tax per ripartire più equamente il carico impositivo delle multinazionali della digital economy tra i Paesi dove queste operano è una delle priorità dei principali governi europei che in vista del vertice di Tallinn sembra lavoreranno (opportunamente) su un documento comune. L’obiettivo è quello di spostare la tassazione dal luogo dove le multinazionali decidono di stabilirsi al luogo dove esse conseguono i profitti. Obiettivo difficile da realizzare alla luce delle sovraordinate regole internazionali che nei fatti legittimano la mancata tassazione di questi redditi apolidi (ovvero generati su scala globale dai sempre crescenti business totalmente immateriali, che non hanno necessità di strutture significative a livello dei singoli Paesi in cui operano e guadagnano).

Del resto non si può far leva, come si era avvertito su queste colonne, su soluzioni locali quali quella che in Italia è stata impropriamente definita web tax transitoria, che in realtà inquadra un procedimento opzionale di auto-denuncia circa l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia per certi versi simile alla voluntary disclosure, con la quale peraltro convive. Non si tratta infatti di una nuova imposta o di una presunzione che opera ex se, ma di una procedura che si applica a (tutte) le società estere appartenenti a gruppi multinazionali con certi (discutibili) requisiti. Peraltro anche ove l’obiettivo fosse quello di avere certezza sulle modalità di operare in Italia, combinando i ruling esistenti (con cui quanto meno il nuovo strumento andrebbe coordinato) e il ravvedimento operoso già si poteva giungere a risultati analoghi. I governi europei dovrebbero convergere su una posizione che prenda atto che l’ambiente normativo per risolvere le tematiche della tassazione dell’economia digitale è quello delle convenzioni, e oggi in particolare (nonostante le possibilità di riserva ivi previste e la mancata sottoscrizione degli Usa facciano riflettere sullo strumento) può essere quello della Convenzione multilaterale elaborata dall’Ocse per il recepimento delle misure per la prevenzione delle pratiche di erosione delle basi imponibili nei Paesi dove si realizzano i profitti. Qui potrebbero studiarsi quelle modifiche al concetto di stabile organizzazione – oggi ancorato a desueti criteri di materialità e presenza fisica – da più parti invocate. Nell’attesa, l’alternativa per gli Stati potrebbe essere pensare a una imposta legata all’utilizzo della banda larga, con un sistema di aliquote progressive e franchigie per garantire la progressività dell’imposta, magari consentendo la deducibilità di tale peculiare imposta “sul consumo” dal reddito d’impresa dell’eventuale stabile organizzazione del soggetto non residente. Il ricorso a tale tipologia d’imposta, assimilabile a una sorta di “tax-per-click” (del resto anche la tobin tax sposa la logica di tassare singole transazioni e anzi, visto che si pensa giustamente di abrogarla, potrebbe essere sostituita da quest’ultima), si scontra con difficoltà applicative legate al reperimento dei dati sull’effettivo utilizzo della rete (e questo ci fa dire che gli investimenti in tecnologia da parte delle amministrazioni fiscali sono importanti quanto la web tax, come dimostrano i recenti studi Ocse). Quanto al timore di “accuse” di discriminazione a livello europeo o pattizio, è possibile prevedere che l’ambito oggettivo di applicazione della nuova imposta si estenda alle imprese residenti.

L’altra alternativa, oggi che l’entrata in vigore del Cbcr (country by country reporting) mette a disposizione un ventaglio nutrito di informazioni utili alla “causa” (anche se resta una imposta difficile da applicare perché è complesso determinare la distribuzione del carico impositivo nei gruppi), potrebbe essere quella di pensare alla introduzione di una imposta sui diverted profit similare a quella in vigore nel Regno Unito, che mira a evitare che gli accordi stipulati dai grandi gruppi, aggirando la creazione di stabili organizzazioni o utilizzando soggetti privi di sostanza economica, producano una erosione della base imponibile da tassare in loco.

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