Sono più di 50 i “duelli” aperti tra Stati Uniti e Unione europea davanti al tribunale dell’Organizzazione mondiale per il commercio: in 33 casi è Bruxelles a lamentare pratiche scorrette ai danni delle proprie imprese, 19 sono invece i ricorsi lanciati da Washington, in una battaglia, quella tra le principali potenze commerciali del mondo (insieme alla Cina), cominciata molto prima che Donald Trump prendesse possesso della Casa Bianca, ma che con il nuovo presidente Usa ha assunto toni molto più accesi.
I tempi della Transatlantic Trade and Investment Partnership sono lontanissimi: l’accordo che avrebbe dovuto creare una zona di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico è finito nel dimenticatoio, e non solo per l’ostilità manifestata da Trump nei confronti dei trattati commerciali. Probabilmente, ad affossarlo sarebbero bastate le resistenze europee. Avviate nel 2013, le trattative si sono arenate dopo il 15° round negoziale, all’inizio di ottobre del 2016 (e a poche settimane dal voto per le presidenziali Usa, l’8 novembre).
Fin qui però, lo stato dei rapporti tra Usa e Europa resta nel solco di una collaborazione competitiva consolidata nel tempo. A far rizzare i capelli ai leader europei sono invece i toni neo-mercantilistici di Trump, con la minaccia di imporre dazi su una novantina di prodotti «Made in Eu» (dal formaggio francese alla Vespa italiana) e con le indagini lanciate sull’import Usa di acciaio e alluminio, con la prospettiva di bloccarlo per difendere la «sicurezza nazionale» americana. L’amministrazione Trump si è spinta fino a mettere nel mirino l’euro, sostenendo che è troppo basso nei confronti del dollaro e che la Germania se ne serva come grimaldello per spingere le proprie esportazioni oltre i livelli che le sarebbero possibili se usasse una moneta nazionale propria, forte come era forte il fu marco tedesco.
L’Unione europea vanta un surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti pari a 115,3 miliardi di euro (dato 2016, solo beni), con esportazioni per 362 miliardi. Se i dazi medi sono pari al 3%, secondo i dati della Commissione europea, i principali ostacoli al commercio tra le due aree sono le cosiddette barriere non tariffarie (regolamenti, standard, criteri tecnici e fitosanitari).
Di fronte all’offensiva statunitense, la risposta europea si muove su più versanti. In primo luogo, la difesa della Wto e delle sue regole, come meccanismo di governo degli scambi commerciali, che Trump vorrebbe invece aggirare per avere mano libera per proteggere gli «American Jobs». In questo senso, Bruxelles affila dossier e report per preparare ricorsi e ritorsioni contro eventuali mosse unilaterali di Washington. Infine, ma non per ordine di importanza, la Commissione europea sta cercando di rafforzare le alleanze commerciali con altri Paesi, lanciando nuovi accordi commerciali o accelerando quelli già avviati. Come quello con il Giappone (trattative avviate nel 2013), con l’intesa firmata a Bruxelles all’inizio di luglio dal capo dell’Esecutivo Ue Jean-Claude Juncker, dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e dal premier giapponese Shinzo Abe.
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