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Catalogna, così si è arrivati allo scontro finale

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Le ragioni della crisi

Catalogna, così si è arrivati allo scontro finale

(Reuters)
(Reuters)

«Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?». È questa la domanda che i catalani trovano sulle schede elettorali per votare al referendum di oggi e decidere quindi se la regione di Barcellona deve separarsi dalla Spagna e diventare uno Stato sovrano indipendente. Per i partiti secessionisti che hanno la maggioranza nell’Assemblea catalana (ma uniti, da destra a sinistra hanno ottenuto il 48% dei voti alle ultime elezioni amministrative) il referendum è legittimato dalla volontà popolare e «il diritto di decidere» in democrazia non può essere negato.

1. Per il governo di Madrid e per la legge spagnola il referendum è «illegale», tutte le leggi ad esso collegate sono state bocciate dalla Corte Costituzionale perché per la Carta spagnola lo Stato è «indivisibile». Per arrivare alla secessione rispettando la legge, sarebbe dunque necessario modificare la Costituzione e quindi superare un referendum nel quale voterebbero tutti i cittadini spagnoli.

In Catalogna, la regione più ricca della Spagna, le spinte indipendentiste e la contrapposizione a Madrid sono sempre state molto forti e radicate nella popolazione: la storia, la cultura, le tradizioni, la lingua, hanno alimentato questo sentimento. La dittatura di Franco fino al 1975, con la repressione violenta di tutti i simboli della Catalogna - anche la lingua catalana era vietata e chi la parlava poteva finire in carcere - ha dato ulteriore forza alle rivendicazioni della popolazione contro lo Stato centrale.

In Spagna le 17 autonomie regionali hanno una notevole autonomia: nel sistema educativo, nella sanità, nel welfare in generale. Alcune di esse - e tra queste la Catalogna - hanno anche una propria lingua riconosciuta e gestiscono una forza di polizia locale. Ma pur gestendo servizi essenziali come la scuola e gli ospedali, le regioni vivono essenzialmente di trasferimenti statali: la Catalogna riceve ogni anno quasi 50 miliardi dal governo nazionale, mentre i suoi cittadini pagano in totale oltre 60 miliardi di tasse.

2.In Catalogna hanno sempre mal sopportato i limiti all’autonomia dettati dalla Costituzione. I governi spagnoli - conservatori e socialisti - sono stati costretti a fare concessioni alla Generalitat per contenerne la deriva nazionalista. Nel 2006 questo difficile equilibrio viene modificato: la Catalogna si dà un nuovo Statuto che rispetto allo Statuto precedente, risalente al 1979, assegna al governo regionale maggiore autonomia nel gestire il gettito fiscale, definisce la prevalenza del catalano sullo spagnolo-castigliano e riconosce la regione come una Nazione, seppure dentro lo Stato centrale. A Madrid partiti nazionalisti trovano l’appoggio della maggioranza socialista e il nuovo Statuto viene approvato anche dal Parlamento spagnolo. Il testo tuttavia viene annacquato e riduce gli elementi di autonomia della regione tanto che la definitiva ratifica a Barcellona provoca polemiche e spacca il fronte nazionalista. Nel 2010 si verifica la rottura definitiva tra Barcellona e Madrid. Su ricorso del Partito conservatore guidato da Mariani Rajoy, allora all’opposizione, la Corte Costituzionale riscrive 14 articoli dello Statuto e ne mette in discussione altri 27: di fatto viene bocciata l’intera legge fondamentale catalana, scompare gran parte dell’autonomia fiscale, la lingua catalana non può avere lo stesso status dello spagnolo, la Catalogna non può essere considerata una Nazione.

3.Lo stesso anno, con l’appoggio di gran parte dei partiti che compongono l’Assemblea regionale, iniziano le grandi proteste di piazza a favore dell’indipendenza che chiedono il «diritto di decidere» e gridano «Catalogna-Nazione». Il Paese è in ginocchio per lo scoppio della bolla immobiliare e il crack del sistema bancario, la recessione, l’austerity e la disoccupazione salita al 25% spingono il fronte indipendentista. Un primo tentativo di referendum per la secessione, promosso dal leader conservatore catalano Artur Mas nel 2014, viene bocciato dalla Corte Costituzionale. Rajoy, diventato premier non ammette concessioni, Carles Puigdemont prende il posto di Mas. E si arriva allo scontro, apparentemente senza vie d’uscita, di questi giorni.

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