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Con la Catalogna è in gioco il polo automobilistico del Paese

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Con la Catalogna è in gioco il polo automobilistico del Paese

Luca de Meo, presidente di Seat
Luca de Meo, presidente di Seat

Movida e turismo? Design e moda? No, non solo. Barcellona e la Catalunya sono anche industria. Tanta industria, quella dell’automobile. A trenta chilometri dal centro della città c’è, a Martorell, la megafabbrica di auto della Seat e, a sud ovest, nel quartiere di Zona Franca, una seconda imponente struttura che produce parti di vetture collegata da una ferrovia interna con l’impianto, e quartier generale della casa spagnola di Martorell.

E non è tutto: a El Prat de Llobregat, vicino all’aeroporto, c’è anche una grande fabbrica di cambi e trasmissioni. Insomma Barcellona è la capitale dell’automobile in Spagna e la catalana Seat, che ha un giro d’affari complessivo di 8,4 miliardi di euro, produce con il suo ecosistema produttivo quasi un punto di Pil del paese iberico, lo 0,8% per la precisione. Ci sono migliaia di lavoratori in un’azienda che è catalana ma è strettamente integrata con l’industria automobilistica europea (di passaporto tedesco, però)

Quella di Seat e della fabbrica di Martorell è una storia complessa e affascinante che affonda le sue radici nel franchismo, nel dopoguerra di una Spagna ferita dalla guerra civile ma indenne dalla tragedia del secondo conflitto, e nell’industrializzazione forzata spinta dall’Ini, istituto che ricalcava scopi e obiettivi del nostro Iri. Era il 1950 quando fu fondata la Seat, Sociedad Española de Automóviles de Turismo, una marca la cui storia si intreccia con quella della Fiat, il primo modello era una Fiat 1400 assemblata localmente e rimarchiata in virtù di una partnership industriale con il Lingotto.

Il primo modello, quello più iconico, fu la Seat 600 che analoga al modello italiano mise gli spagnoli in auto. Era l’auto, iberica, del popolo. Ed era catalana. Ma poi ci furono anche modelli autonomi, dalla bizzarra ma funzionale 850 a 4 porte, alla terrificante Seat 133, sorta di Frankenstein a motore, fino alla Ronda, vettura che accese per l’inevitabile somiglianza con la nostrana Ritmo una disputa legale con Fiat, che proprio nell’1982, anno di lancio del modello, divorziò in modo non amichevole dal partner spagnolo.

Arrivò il gruppo Volkswagen e la storia della casa cambiò radicalmente ma non senza traumi e sforzi ingenti. E così si passò dalle prime Ibiza con motore messo a punto da Porsche fino alla svolta degli ultimi anni, con una Seat entrata finalmente in utile, guidata da due anni da un italiano, Luca de Meo, e che è sbarcata nel settore strategico dei suv con due modelli (uno dei quali al lancio in questi giorni) e prepara la strada dell’elettrificazione.

Con 14.500 dipendenti in tre stabilimenti, 450mila auto prodotte all’anno (l’80% è esportato), quasi 60 milioni di pezzi e 700mila cambi, quella di Seat in Catalogna è dunque una presenza di peso ed è legata a filo doppio con la Germania, in un asse industriale ed economico tra Wolfsburg e Martorell.

Già, perché a Barcellona non vengono costruite solo le Seat Ibiza e le Leon (che peraltro sfruttano la piattaforma modulare Mqb che è l’architrave della produzione del gruppo tedesco e di tutti i suoi marchi) ma anche Audi Q3, il suv medio dei quattro anelli, e l’impianto è stato già opzionato per costruire il futuro crossover compatto Audi Q1 che arriverà nel 2019, mentre alcuni modelli Seat sono costruiti anche in Portogallo, Repubblica Ceca e in Slovacchia, mentre a Barcellona c’è anche l’hub della ricerca e sviluppo che con oltre mille ingegneri è il più grande di Spagna ed è fortemente orientato alle tecnologie per sostenibilità ambientale.

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